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GIUSEPPE CACCIATORE
ni, diventano, in tal modo, il luogo privilegiato della essenziale inter
connessione tra idealità e fatticità della storia. Il luogo concreto e visibi
le delle passioni non può essere cancellato, diremmo oggi in modo in
tellettualistico, né dalla storia individuale dell’anima umana, né, tanto
meno, dalla storia civile delle nazioni. Si tratta, piuttosto, di rinvenire,
accanto alla funzione moderatrice della
ratio
, una
misura
empirica che
riconosca l ’ineliminabile presenza della sensibilità e la indirizzi ad una
utilità di tipo generale. «La filosofia - si legge nella
Scienza nuova
del
1744 - per giovar al genere umano, dee sollevar e reggere l’uomo cadu
to e debole, non convellergli la natura, né abbandonarlo nella sua cor
rezione»8. Attraverso una chiara opzione per quella che, con terminolo
gia novecentesca, potremmo definire la «funzione pratica della filoso
fia», Vico sviluppa la sua polemica nei confronti delle filosofie politiche
di derivazione stoica ed epicurea e dichiara la sua preferenza per i «filo
sofi politici, e principalmente i platonici», di contro ai «filosofi mona
stici e solitari».
Si chiarisce così sempre di più l ’intimo nesso che la nuova scienza è
chiamata a scoprire e a investigare, tra la filosofia e la legislazione. Il pas
saggio dalla dimensione ideale della filosofia a quella reale del diritto
consente che si faccia «buoni usi» dell’agire umano nella società, che le
passioni e i vizi vengano opportunamente convertiti in elementi di sta
bilità e di regolamentazione della società e dell’ordinamento politico9.
Appare del tutto chiaro, allora, che il problema della razionalità deve es
sere inteso, nel linguaggio filosofico vichiano, non certo in una latitudi
ne semantica di carattere razionalistico o illuministico, ma piuttosto in
quella che richiama, attraverso il costituirsi del diritto e della comunità
politica, il progressivo processo di civilizzazione delle nazioni umane.
C’è un tema di fondo che, tra gli altri, caratterizza il
De antiquissima
:
l ’uomo non può avere accesso alla verità del mondo naturale, giacché
questa è resa possibile solo grazie all’atto creativo di Dio. Ben diversa-
mente, com’è noto, si pone il problema della conoscenza del mondo sto
rico. Nel capitolo dove affronta il rapporto tra il
vero
e il
fatto,
dopo aver
sostenuto che il «primo vero» è in Dio, cioè nel «primo facitore», e do
po aver assegnato alla mente divina una capacità di intelligenza infinita
e compiuta delle cose, Vico lascia alla mente umana lo spazio del pen
sare, della
cogitatio.
«Dio infatti raccoglie tutti gli elementi delle cose,
8
Sn44,
p. 496 (capov. 129).
9 «Come della ferocia, dell’avarizia, dell’ambizione, che sono gli tre vizi che portano a
trewerso tutto il genere umano, ne fa la milizia, la mercatanzia e la corte, e sì la fortezza, l’o
pulenza e la sapienza delle repubbliche; e di questi tre grandi vizi, i quali certamente distrug
gerebbero l’umana generazione sopra la terra, ne fa la civile felicità»
(ibid.,
p. 497, capov. 132).