PASSIONI E RAGIONE NELLA FILOSOFIA CIVILE DI VICO
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estrinseci e intrinseci, in quanto li contiene e dispone; invece la mente
umana, in quanto limitata, e in quanto sono fuori di lei tutte le altre co­
se che non sieno essa stessa, può soltanto andare ad accozzare gli ele­
menti estremi delle cose, senza mai collegarli tutti. Pertanto è partecipe
della ragione, non padrona»10. Mentre il vero divino è generato nel mo­
mento stesso in cui Dio lo conosce, quello umano si compone e si fa nel
momento stesso in cui viene appreso dall’uomo. La mente umana, allo­
ra, è in grado di elaborare un sistema di conoscenze applicabile a un am­
bito di fatti, quello storico per intenderci, costruito e al tempo stesso co­
nosciuto dall’uomo. Il vero, oggetto della conoscenza dell’uomo, è con­
vertibile con ciò che dall’uomo viene fatto e conosciuto. Solo in Dio vi
è piena identità di verità e creazione, mentre la ragione umana conosce
il vero solo nella misura in cui lo produce. Tutto ciò che l ’uomo co­
struisce nelle operazioni concettuali, nelle creazioni linguistiche e nel­
l’esperienza storica è per lui stesso conoscibile e vero, in quanto egli stes­
so l ’ha prodotto.
E, tuttavia, il principio costitutivo - a un tempo gnoseologico e me­
tafisico - della filosofia vichiana, la relazione di convertibilità
verum-fac-
tum,
non ha un valore soltanto per ciò che riguarda la conoscibilità del
mondo delle nazioni (fatto certamente dagli uomini e rinvenibile nelle
modificazioni della loro mente), giacché la conoscenza storica non può
essere solo attività razionale pura, cioè filosofia, ma anche filologia, cioè
accertamento dei fatti e, in special modo, di quelli che concernono la ge­
nesi e la trasformazione dell’autorità politica. Dunque, la teorizzazione
vichiana dei nessi tra diritto, politica e storia s’inquadra nel più ampio
contesto della problematizzazione, per così dire costitutiva, inaugurata
dalla generale relazione tra metafisica e storia. Potrebbe valere qui un ri­
ferimento analogico a Kant, giacché, come questi alla fine considera il fi­
ne della natura come fatto della ragione presente nella storia dell’uomo,
così Vico guarda al fine divino e naturale come forza della ragione che è
anche realtà della storia umana.
3.
Nell’esordio della
Scienza nuova
del 1725, come è noto, Vico teo­
rizza la comune origine del sentimento religioso e del diritto naturale del­
le genti. Nella sapienza volgare delle nazioni gentili si possono cogliere,
argomenta Vico, due fondamentali principi direttivi: da un lato il darsi
della Provvidenza come idea ordinatrice delle vicende umane; dall’altro
il consolidarsi del libero arbitrio. Da ciò deriva per l’uomo la possibilità
10
G. V ico,
De antiquissima italorum sapientia,
in
Operefilosofiche,
a cura di P. Cristofo-
lini, Firenze, 1971, p. 62.
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