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GIUSEPPE CACCIATORE
però qualcosa di connaturato all’individuo, tant’è che la stoltezza si pre
senta come qualcosa che ci fa rinunciare alla stessa natura umana. Per
ciò essa assume, per Vico, i tratti di una vera e propria
ars vitae2k,
di un
orientamento essenzialmente pratico che serve all’uomo a costruire una
ratio vitae
che non solo possa aiutarlo ad evitare i gravi danni della stol
tezza, ma anche a riconoscere quali siano quei beni duraturi e non effi
meri su cui si fondano prudenza e virtù. Tutto ciò dunque che si con
trappone alla sapienza ha negative ripercussioni sull’intero corso della
vita, giacché per Vico - qui certamente molto più stoico che platonico -
la «vita felice» è essenzialmente imperturbabilità, equilibrio interiore, ma
anche cultura. «La cultura (
Scientia
) infatti fa in modo che il sapiente al
lontani il suo animo dal corpo e che si trattenga molto con la sua parte
migliore e divina, e soltanto quanto è indispensabile con questa querula
e fragile»27. Il fine della sapienza, così, può ben indirizzarsi al personale
godimento del prestigio derivante dalla scienza e dalla professione, può
anche, coerentemente, perseguire l ’ideale stoico di una virtù etica con
sistente nella imperturbabilità della saggezza e nel dominio delle passio
ni. Ma vi è un dovere civico e «patriottico» che induce alla ricerca di una
armonizzazione tra il piacere dello studio e la «suprema utilità dello Sta
to». La sapienza, afferma Vico nella Orazione del 1705, è quella straor
dinaria facoltà che riesce a guarire, se bene indirizzata, tanto gli errori
della mente quanto le passioni dell’anima e riesce perciò a condurre l ’uo
mo al possesso della verità e della virtù. Ma è nella virtù - cioè in una di
mensione essenzialmente pratica - che si coglie il segno più eloquente
dell’attività dell’uomo, la possibilità di adempiere ai «doveri che la vita
ci impone; il più importante dei doveri è servire la patria e giovare allo
Stato con l’opera nostra»28.
La vicenda dell’uomo è contrassegnata da una originaria debolezza e
fallacia della sua natura, tale da provocare confusioni nel linguaggio, in
comprensioni nel pensiero, vizi nella condotta morale. Non a caso, in
fatti, la pena inflitta da Dio ai responsabili del peccato originale si è tra
dotta nella babele delle lingue, nella molteplicità infinita delle opinioni
e delle convinzioni, nel pernicioso diffondersi delle passioni. Ma all’uo
mo è data anche la possibilità del riscatto, della trasformazione, con l’in
tervento decisivo della sua buona volontà, dei mali in beni utili all’uma
nità e al mondo civile. «E allora le doti della natura umana riscattata dal
peccato originale sono queste: l ’eloquenza, la conoscenza, la virtù; e so
26
Ibid.
, p. 117.
27 Cfr.
VOrazione, ibid.,
p. 171.
28 Cfr.
VI Orazione, ibid.,
p. 195.