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GIUSEPPE CACCIATORE
umana (che non è innata, ma sempre esposta alla finitezza costitutiva del­
la possibilità del comprendere) può risalire dalla diversità temporale, an­
tropologica e culturale ad una ideale cittadinanza universale del sapere34.
Vico non nega che possano costituirsi una storia universale (che è leg­
gibile attraverso le forme costanti che si ritrovano nei particolari e diffe­
renziati mondi storici delle nazioni) e anche un linguaggio universale e
un diritto universale. Ma essi sono osservabili e descrivibili sempre e sol­
tanto a partire da «questa gran città del genere umano», così da rende­
re possibile l ’individuazione delle «guise», cioè dei modi del loro nasce­
re35, ma anche dei tempi determinati della loro processualità. Si scopro­
no le «eterne propietà» dei principi, ma anche le forme del loro progre­
dire e decadere, le loro «mitologie» ed «etimologie», cioè tutto ciò che
concorre al profilarsi di una «scienza delle origini delle cose», di una
scienza in grado di raccogliere in sintesi gli sparsi «rottami dell’anti­
chità», di proporsi come filologia dei significati certi e del loro inverar­
si nei principi determinati dalla filosofia. Di questa scienza si danno, per
Vico, du
e. pratiche:
una, per così dire, storico-filologica e narrativa, l ’al­
tra etico-civile e politica. «Una è di una nuova arte critica, che ne serva
di fiaccola da distinguere il vero nella storia oscura e favolosa (...). L’al­
tra pratica è un’arte come diagnostica, la quale, regolandoci con la sa­
pienza del genere umano, da esso ordine delle cose dell’umanità ne dà il
fine principale di questa scienza di conoscere i segni indubitabili dello
stato delle nazioni»36. Il problema e il significato stesso di una
Pratica
della scienza nuova
sono, com’è noto, posti ed affrontati da Vico nelle
correzioni e aggiunte manoscritte alla edizione del 173037. In effetti, os­
serva Vico (quasi a voler in anticipo giustificare il motivo dell’esclusione
della
Pratica
dall’edizione del 1744), non vi sarebbe bisogno di dedica­
re una trattazione specifica alle questioni pratiche, giacché basterebbe
che i «sappienti delle repubbliche» e i prìncipi governanti delle stesse
riuscissero a ben meditare sulla scienza che ha ragionato sul corso delle
nazioni per essere in grado di individuare i modi migliori di definire e
costruire «buoni ordini e leggi ed esempli», cioè tutto ciò che possa « ri­
chiamare i popoli alla loro
akmé,
o sia stato perfetto». Il filosofo napo­
34
Cfr.
Sn25,
p. 1169. Vico qui sottolinea con forza il carattere storico-genetico del suo
metodo, giacché «nella cognizione della guisa consiste unicamente la scienza».
V Ibid., pp.
1169-1170.
36 G. V ico,
Principi di Scienza nuova,
a cura di F. Nicolini, tomo III, Torino, 1976 (Mila-
no-Napoli, 1953), p. 511. C om e noto le pagine del 1730 non furono riprese nell’edizione del
1744. Il Nicolini, adottando una scelta ritenuta oggi discutibile, le stampò come appendice
alla sua edizione della
Scienza nuova
del 1744.
37
Ivi.
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