PASSIONI E RAGIONE NELLA FILOSOFIA CIVILE DI VICO
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letano sembra qui sostanzialmente ribadire la centralità di quei principi
sui quali si fonda la sua antropologia filosofica: «che si dia prowedenza
divina; che, perché si possano, si debbano moderare Fumane passioni; e
che l’anime nostre sien immortali»38. Il fatto, allora, che Vico faccia ri­
ferimento ai principi non soltanto in riferimento alla finalità filosofica e
storico-filologica che sta a base della sua scienza nuova39, ma anche in
relazione al profilarsi di un impianto normativo di tipo morale, può au­
torizzare una interpretazione della filosofia pratica vichiana come espli­
cito tentativo di tenere insieme una metafisica dei principi e delle forme
e un’etica materiale commisurata agli insegnamenti della prudenza e ar­
ricchita dalla conoscenza storica derivante dal senso comune. D’altron­
de senza riferimento ai principi, senza la determinazione di una norma,
non sarebbe possibile l ’identificazione di quel «modo» e di quella «m i­
sura» che rende umane le passioni bestiali. Filosofia pratica e filosofia ci­
vile vanno ancora di pari passo, giacché la ricerca della misura si tradu­
ce in quella facoltà del
conato,
«il qual è propio dell’umana volontà, di
tener in freno i moti impressi alla mente dal corpo, per o affatto acque­
tarli, ch’è dell’uomo sappiente, o almeno dar loro altra direzione ad usi
migliori, ch’è dell’uomo civile»40.
Vico, così, finalizza esplicitamente la lettura di Platone, Aristotele e
Cicerone alla questione cruciale del «ben regolare l ’uomo nella civile so­
cietà». Ed è proprio questa tonalità della sua filosofia politica rivolta al­
l ’individuazione dei principi che regolano la struttura e il funzionamento
della comunità a collocarlo in una posizione critica verso le «fisiche mec­
caniche di Epicuro come di Renato»41. Dunque, l ’operazione selettiva
che Vico compie rispetto alle diverse tradizioni classiche (Platone e Ari­
stotele, ma anche Cicerone e Tacito
contra
stoicismo ed epicureismo),
non è certo riducibile a una semplice volontà di restauro archeologico-
tradizionalista, ma appare funzionale ad una ipotesi di fondazione di
un’etica e di una politica «socievoli» e, per così dire,
comunitarie
(sen­
za naturalmente dare al termine nessuna valenza ideologica contempo­
38 Cfr., tra gli altri luoghi dove il tema è trattato, il capov. 13 della
Sn44
(p. 424). Mi rife­
risco in particolare a questo passo perché qui, più che altrove, emerge con chiarezza il pas­
saggio dai fondamenti antropologici ai principi della «moral filosofia», alla luce di quella ne­
cessaria interrelazione tra la sapienza dei filosofi e quella dei legislatori (cfr. su ciò il successi­
vo capov. 14).
39
Ibid.,
p. 547. Qui Vico spiega con estrema chiarezza che la capacità di «infrenar il mo­
to de’ corpi» appartiene alla «libertà dell’umano arbitrio», alla libera volontà quale luogo di
origine di «tutte le virtù e, traile altre, della giustizia, da cui informata la volontà è il subbiet-
to di tutto il giusto e di tutti i diritti che sono dettati dal giusto».
40 Cfr.
Vita,
p. 15.
41
Ivi.
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