PASSIONI E RAGIONE NELLA FILOSOFIA CIVILE DI VICO
109
letano sembra qui sostanzialmente ribadire la centralità di quei principi
sui quali si fonda la sua antropologia filosofica: «che si dia prowedenza
divina; che, perché si possano, si debbano moderare Fumane passioni; e
che l’anime nostre sien immortali»38. Il fatto, allora, che Vico faccia ri
ferimento ai principi non soltanto in riferimento alla finalità filosofica e
storico-filologica che sta a base della sua scienza nuova39, ma anche in
relazione al profilarsi di un impianto normativo di tipo morale, può au
torizzare una interpretazione della filosofia pratica vichiana come espli
cito tentativo di tenere insieme una metafisica dei principi e delle forme
e un’etica materiale commisurata agli insegnamenti della prudenza e ar
ricchita dalla conoscenza storica derivante dal senso comune. D’altron
de senza riferimento ai principi, senza la determinazione di una norma,
non sarebbe possibile l ’identificazione di quel «modo» e di quella «m i
sura» che rende umane le passioni bestiali. Filosofia pratica e filosofia ci
vile vanno ancora di pari passo, giacché la ricerca della misura si tradu
ce in quella facoltà del
conato,
«il qual è propio dell’umana volontà, di
tener in freno i moti impressi alla mente dal corpo, per o affatto acque
tarli, ch’è dell’uomo sappiente, o almeno dar loro altra direzione ad usi
migliori, ch’è dell’uomo civile»40.
Vico, così, finalizza esplicitamente la lettura di Platone, Aristotele e
Cicerone alla questione cruciale del «ben regolare l ’uomo nella civile so
cietà». Ed è proprio questa tonalità della sua filosofia politica rivolta al
l ’individuazione dei principi che regolano la struttura e il funzionamento
della comunità a collocarlo in una posizione critica verso le «fisiche mec
caniche di Epicuro come di Renato»41. Dunque, l ’operazione selettiva
che Vico compie rispetto alle diverse tradizioni classiche (Platone e Ari
stotele, ma anche Cicerone e Tacito
contra
stoicismo ed epicureismo),
non è certo riducibile a una semplice volontà di restauro archeologico-
tradizionalista, ma appare funzionale ad una ipotesi di fondazione di
un’etica e di una politica «socievoli» e, per così dire,
comunitarie
(sen
za naturalmente dare al termine nessuna valenza ideologica contempo
38 Cfr., tra gli altri luoghi dove il tema è trattato, il capov. 13 della
Sn44
(p. 424). Mi rife
risco in particolare a questo passo perché qui, più che altrove, emerge con chiarezza il pas
saggio dai fondamenti antropologici ai principi della «moral filosofia», alla luce di quella ne
cessaria interrelazione tra la sapienza dei filosofi e quella dei legislatori (cfr. su ciò il successi
vo capov. 14).
39
Ibid.,
p. 547. Qui Vico spiega con estrema chiarezza che la capacità di «infrenar il mo
to de’ corpi» appartiene alla «libertà dell’umano arbitrio», alla libera volontà quale luogo di
origine di «tutte le virtù e, traile altre, della giustizia, da cui informata la volontà è il subbiet-
to di tutto il giusto e di tutti i diritti che sono dettati dal giusto».
40 Cfr.
Vita,
p. 15.
41
Ivi.