PASSIONI E RAGIONE NELLA FILOSOFIA CIVILE DI VICO
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del vero ideale per altri), quel che è certo è che esso trova il suo primo
sperimentabile livello di manifestazione e produzione storico-concreta
(e non solo in senso meramente diacronico) nell’ingegno e nella fanta
sia. Quel che viene prima e che funge perciò da
principio
non è dunque
la ragione metafisica e calcolante, né quella della logica filosofica. Nel
primo capitolo della sezione dedicata alla
Metafisica poetica,
Vico è più
che esplicito. La
sapienza poetica
sta indubbiamente a rappresentare la
«prima sapienza della gentilità», ed essa dovette, per questo, prendere
avvio da un procedimento metafisico che non è quello ragionato ed
astratto proprio degli «addottrinati», bensì quello sentito ed immagina
to proprio degli uomini ancora poco avvezzi al raziocinio, «tutti robusti
sensi e vigorosissime fantasie»47. La loro poesia non è un fatto aggiunti
vo, né è già una costruzione tecnica o artificiale. Essa, piuttosto, è una
«facultà loro connaturale» che ha il suo luogo d’origine paradossalmen
te proprio nella possibilità di scarso accesso alla conoscenza delle cause
e che, perciò, si radica nella «maraviglia di tutte le cose»48. In modo an
cor più netto la distinzione tra razionalismo e intuizione sensibile, tra me
tafisica e poesia, traspare nel libro terzo della
Scienza nuova
del 1725,
giacché se la prima è in grado di resistere al «giudizio de’ sensi», la se
conda ne fa invece la sua regola principale; se la prima si affanna a non
ridurre lo spirito al corpo, la seconda agisce proprio all’inverso. «Onde
i pensieri di quella sono tutti astratti, i concetti di questa (...) sono più
belli quando si formano più corpulenti; ed in somma quella si studia che
i dotti conoscano il vero delle cose sceveri d ’ogni passione, e, perché sce
veri d’ogni passione, conoscano il vero delle cose: questa si adopera in
durre gli uomini volgari ad operare secondo il vero con macchine di per
turbatissimi affetti, i quali certamente, senza perturbatissimi affetti, non
l ’opererebbono»49. Così il potente e robusto senso della fantasia dei pri
mi popoli li rende, in forza proprio della loro ignoranza, «criatori» - na
turalmente in un senso del tutto diverso dal processo divino di creazio
ne delle cose - del mondo delle finzioni storiche ed umane. Ecco perché
47
Ibid.
, p. 570. Vico richiama ancora una delle Degnità: «La maraviglia è figliuola dell’i
gnoranza; e quanto l’effetto ammirato è più grande, tanto più a proporzione cresce la mara
viglia»
(ibid.,
p. 509). Sono naturalmente evidenti le reminiscenze classiche (specialmente Ari
stotele) che Vico può aver qui adoperato a proposito di questa definizione. Sul tema cfr. M.
T
orrini
,
Il topos della meraviglia come origine della filosofia tra Bacon e Vico,
in
Francis Ba
con. Terminologia efortuna nel XVII secolo,
a cura di M. Fattori, Roma, 1985, pp. 261-280. Si
noti, per inciso, come nel testo del capov. 375 emerga la sensibilità, per così dire, antropolo
gica di Vico, che compara credenze animistiche delle antiche nazioni latine e germaniche con
quelle americane.
48
Sn25,
pp. 1132-1133.
49 Sn44,
p. 441.