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GIUSEPPE CACCIATORE
i caratteri divini o quelli eroici vengono espressi attraverso le favole e le
allegorie ed utilizzando non certo un senso filosofico, ma un senso af
fatto storico. «Di più - afferma Vico - , perché tali generi (che sono, nel
la lor essenza, le favole) erano formati da fantasie robustissime, come
d ’uomini di debolissimo raziocinio, se ne scuoprono le vere sentenze
poetiche, che debbon essere sentimenti vestiti di grandissime passioni, e
perciò piene di sublimità e risveglianti la maraviglia»50. In tal modo la
poesia non ha solo una funzione topica e, al tempo stesso, storico-filo-
logica - il «ritruovare favole sublimi confacenti all’intendimento popo
laresco» - ma anche un compito, che è del tutto coerente con la dispo
sizione «civile» della filosofia vichiana, per così dire etico e didascalico,
cioè di «insegnar il volgo a virtuosamente operare»51. Memoria, fantasia
e ingegno, pur rispondendo a diverse funzioni sia psicologiche che co
noscitive, sono i primi principi, le forme costitutive del mondo umano,
ma rappresentano anche, dal punto di vista storico, gli elementi che ca
ratterizzano la prima sapienza dell’uomo. L’attività mitopoietica, la ca
pacità di concentrare le reminiscenze in un atto della fantasia, il lavoro
svolto dall’ingegno sui materiali del ricordo, caratterizzano il procedi-
50
Ibid..,
p. 571.
51 Ma la medesima osservazione Vico aveva sviluppato già nella sezione dedicata alla «Me
tafisica poetica». Qui si osserva come, proprio a causa del fardello dell’astrazione che in
gombra la mente e dell’eccesso di «spiritualizzazione» provocato da una razionalità geome
trica e calcolante, diventa difficile «entrare nella vasta immaginativa di que’ primi uomini, le
menti de’ quali di nulla erano astratte, di nulla erano assottigliate, di nulla spiritualezzate, per-
ch’erano tutte immerse ne’ sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’ corpi: on
de dicemmo sopra ch’or appena intender si può, affatto immaginar non si può, come pen
sassero i primi uomini che fondarono l’umanità gentilesca» (cfr.
ibid.,
p. 572).
52 Cfr.
ibid.,
p. 767. Il Battistini, nel suo commento (cfr. Vico,
Opere,
cit., voi. II, pp. 1670-
1671), sottolinea - e io condivido il suo apprezzamento - le importanti novità interpretative che
su questo specifico ruolo della fantasia e dell’immaginazione in Vico ha suggerito nei suoi studi
il
VERENE
(cfr., in particolare,
Vico’s Science ofImagination,
Ithaca-London, 1981 e 1991;
The
NewArt ofNarration: Vico and theMuses,
in «New Vico Studies» I, 1983, pp. 21-38;
Imagina
tive Universals and Narrative Truth,
in «New Vico Studies» VI, 1988, pp. 1-19; da ultimo cfr.
^universalefantastico di Vico e la logica della metafora,
in Id.,
Vico nel mondo anglosassone,
tr.
it. Napoli, 1995, pp. 25 sgg.). Lo studioso americano ha più volte posto l’accento sul radicale
spostamento di prospettiva che con Vico si inaugura nella individuazione dei fondamenti del
pensiero, collocati non più esclusivamente nella razionalità logica ma anche ed essenzialmente
nell’immaginazione e nella attività fantastica. Con Verene, in prima linea, ma con le analisi e gli
studi portati innanzi in questi ultimi anni (e di cui ho riferito nelle note iniziali del saggio) da nu
merosi filosofi e storici dell’estetica, si potrebbe, senza forzature, individuare in Vico una delle
originarie svolte che conducono alla rivalutazione contemporanea del giudizio estetico su quel
lo puramente logico, con implicazioni che non riguardano solo il ristretto ambito dell’esperien
za poetico-artistica, ma quello ben più vasto della filosofia politica e dell’etica. Insomma Vico
all’origine di quella che - per parafrasare il titolo di un recente libro che, non a caso, al filosofo
napoletano dedica due capitoli - è una rinnovata e moderna filosofia del giudizio storico.