PASSIONI E RAGIONE NELLA FILOSOFIA CIVILE DI VICO
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mento della mente umana in un’epoca in cui essa - come Vico osserva52-
«non era assottigliata da verun’arte di scrivere, non spiritualezzata da al­
cuna pratica di conto e ragione, non fatta astrattiva da tanti vocaboli
astratti»53.
Queste facoltà per Vico - certamente consapevole di muoversi con­
tro corrente rispetto alla tradizione filosofica razionalistica - sono ricon­
ducibili al corpo, alle passioni, agli affetti. Esse sono il proprium delle
prime operazioni della mente, la quale, in questa fase, come si è innanzi
osservato, si affida all’«arte regolatrice» della topica. E, dal momento che
prima interviene la capacità di «ritruovare» le cose e soltanto dopo su­
bentra il giudizio, allora la «fanciullezza del mondo» doveva necessaria­
mente («quando il mondo aveva di bisogno di tutti i ritruovati per le ne­
cessità ed utilità della vita») volgersi a quel primo atto operativo. «Quin­
di a ragione i poeti teologi dissero la Memoria esser ‘madre delle muse’,
le quali sopra si sono truovate essere l’arti dell’umanità»54. Soltanto do­
po, come Vico aveva icasticamente sottolineato già nel 1725, proprio al­
la luce del bagaglio di esperienze accumulatesi lungo il processo di civi­
lizzazione dell’umanità, sarebbe subentrato il principio di ragione e con
esso l ’idea di una giurisprudenza del genere umano. «Cagione del giusto
non è l’utilità variabile, ma la ragione eterna che, con le immutabili pro­
porzioni geometrica ed aritmetica, misura le utilità variabili alle varie oc­
casioni di esse umane bisogne»55. La filosofia vichiana dell’autorità, la ri­
cerca dell’ordine politico, la definizione delle guise entro cui la storicità
e la socialità dell’uomo giungono all’età della ragione dispiegata, confer­
mano il disegno naturale della provvidenza, la progressiva realizzazione
di un fine della «divina mente legislatrice», che non resta fuori dal mon­
do o sopra di esso, ma con esso corre nel tempo delle nazioni e nello spa­
zio della città. E quella mente legislatrice «la quale delle passioni degli
uomini, tutti attenuti alle loro private utilità, per le quali viverebbono da
fiere bestie dentro le solitudini, ne ha fatto gli ordini civili per gli quali
vivano in umana società»56. È ben vero, come dice Vico all’inizio della
sezione
Del metodo,
che per lo stesso «stabilimento de’ principi» della
nuova scienza bisogna che gli uomini, anche i più selvaggi, inizino da una
qualche cognizione di Dio. Ma questa cognizione, per così dire, non re­
sta immobile nel suo darsi originario, essa accompagna, quasi come il
kantiano filo conduttore, la storia dell’uomo nel suo progressivo muo­
53 Cfr.
Sn44,
p. 767 (qui Vico fa riferimento al capov. 508, p. 647, dove, indicando come
fonte Omero, si definisce la poesia come scienza del bene e del male).
54
Sn25
, p. 1002.
55
Sn44,
p. 497.
56
Ibid.,
p. 547.
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