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GIUSI FURNARI LUVARÀ
formazione dell’
habitus civilis
12. Vico, quindi, concepisce la topica co­
me arte in grado di arricchire le giovani menti «dei suoi luoghi» facen­
dole progredire sia nella «prudenza», «nella pratica della vita», che nel-
l ’«eloquenza», esercitando la fantasia e la memoria13.
12 II
De ratione
rappresenta una compiuta opposizione del metodo «topico» alla «critica»
cartesiana. Alain Pons ha individuato nel
De ratione
la prima forma del pensiero di Vico come
filosofia politica. Erede dell’umanesimo italiano, per Pons, Vico, riallacciandosi alla tradizione
aristotelica, riafferma l’importanza del concetto di verosimile come spazio teorico in cui trova
giustificazione la
phronesis,
la
prudentia.
Questa posizione, raggiunta nel
De ratione
, sarebbe
stata poi definitivamente superata da Vico nella
Scienza nuova
seconda, là dove, secondo Pons,
Vico si apre a una visione «provvidenzialistica» della storia che complicherebbe il rapporto tra
teoria e prassi (cfr.
Viede Giambattista Vico écritepar lui-mème. Lettres. La méthodedes études
de nótre temps,
a cura di A. Pons, Paris, 1981); come ha messo in luce Enrico Nuzzo recensen­
do l’opera di Pons (in questo «Bollettino» XII-XIII, 1982-1983, pp. 390-393), «(...) il Vico del­
la intensa e fecondissima rivalutazione della topica» (p. 392) apre degli interrogativi sul versante
della eredità della tradizione aristotelica. Vico, infatti, «tanto profondamente avverso alla me­
tafisica e fisica aristoteliche, ma per più di un aspetto, poi, l’ultimo grande rappresentante del-
l’aristotelismo politico - dalla molteplice e mutevole eredità di questo avrebbe potuto assume­
re non soltanto la grande eredità della topica e della prudenza, ma anche, accanto e attraverso
queste, ricevere alcune, magari contraddittorie, sollecitazioni ad una considerazione ‘epistemi-
ca’ delle società umane, delle forme politiche, e dei loro mutamenti (come in fondo suggeriva
l’immagine cinquecentesca, e in parte seicentesca, dell’Aristotele scienziato della politica), ad
una ‘scienza nuova’ della società e della storia, la fondazione del cui statuto avrebbe dovuto pas­
sare però per un rifiuto della aristotelica gradazione ontologica delle sfere del reale» (pp. 392-
393). La questione, che chiama in causa un’attenta rilettura dell’«Aristotele pratico» e dell’ «ari­
stotelismo politico» nel Seicento, tenendo ferma la convinzione che «il progetto di Vico è pur
sempre di fondare una ‘pratica’ adatta ai tempi suoi, su di un sapere non solamente meramen­
te ‘prudenziale’ ‘fronetico’, ma anche, nelle sue basi ultime, saldamente ‘epistemico’, ‘scientifi­
co’» (p. 393), trova risposta nei due interessanti saggi dello stesso E.
NUZZO:
Vicoe 1’«Aristote­
lepratico»: lameditazionesulleforme «civili» nelle «pratiche» dellaScienza nuovaprima
, in que­
sto «Bollettino» XIV-XV (1984-1985), pp. 63-129, e
Ipercorsi della quiete. Aspetti della tratta­
tisticapoliticameridionaledelprimoseicentonella crisidell’aristotelismopolitico
, in questo «Bol­
lettino» XVI (1986), pp. 7-93. Stephan Otto ha notato come, sin dal
De ratione
, Vico mirasse
alla costituzione di «un unico sistema», a ricongiungere «in una metafisica della mente umana
ogni considerazione sulla natura come anche la riflessione su lingua, diritto, storia, per fonda­
re tutti i campi del sapere a partire da questa metafisica non cartesiana». Vico mette in discus­
sione la
ratio studiorum
dei catesiani appellandosi alla difesa del modello topico dell
'ars inve­
niendi
quale era stato tramandato da Aristotele, da Cicerone e da Quintiliano, e ripensato nel
Rinascimento. Parimenti, la difesa vichiana del paradigma metodico della geometria «sinteti­
ca», in opposizione a quello cartesiano della geometria «analitica», rientra nell’intenzione vi­
chiana di restituire alla «mente umana» ingegnosa le sue potenzialità immaginative e creative:
potenzialità che, educate, consentono di raggiungere il «vero» attraverso 1’
«incertum»
e di for­
mare il
«sensus communis
», tenuto conto che «le azioni degli uomini non si lasciano misurare
con una rigida regola dedotta dal ‘primo vero riconosciuto’: esse devono essere verificate con
la norma flessibile dei Lesbi». Insomma, per Stephan Otto la filosofia di Vico, «la sua metafisi­
ca e il suo pensiero sul metodo vogliono servire a risanare questa frattura», quella tra le molte
discipline che il pensiero moderno cartesiano aveva del tutto disgiunto, e costruire un ‘unico
sistema’ (S.
O
t to
,
Giambattista Vico. Lineamenti della suafilosofia
, tr. it. Napoli, 1992, p. 65).
13 Cfr.
De rat.,
p. 111.
1...,124,125,126,127,128,129,130,131,132,133 135,136,137,138,139,140,141,142,143,144,...241