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GIUSI FURNARILUVARÀ
un’umanità che si è fatta nella storia e nel tempo e per questo deve esse
re trasmesso come esperienza di «vita civile», strumento di educazione
dei giovani alla «prudenza», ma anche come tracciato che prepara le gio
vani menti a ben ragionare e a giudicare argomentando.
Nella
Risposta all’Articolo
X
del Tomo
V ili
del Giornale de’ Lettera
ti d’Italia,
del 1712, rivolta al recensore del
De antiquissima
, Vico scrive:
«Si dee certamente obbligazione a Renato che volle il proprio sentimen
to regola del vero, perché era servitù troppo vile star tutto sopra l’auto
rità; gli si dee obbligazione che volle l’ordine nel pensare, perché già si
pensava troppo disordinatamente con quelli tanti e tanto sciolti tra loro
‘
obiicies primo’, ‘obiicies secundo’.
Ma che non regni altro che ’l proprio
giudizio, non si disponga che con metodo geometrico, questo è pur trop
po. Ormai sarebbe tempo da questi estremi ridursi al mezzo: seguire il
giudizio, ma con qualche riguardo all’autorità; usare l ’ordine, ma qual
sopportano le cose. Altrimenti, s’avvedranno, tardi però, che Renato egli
ha fatto quel che sempre han soluto coloro che si son fatti tiranni, i qua
li son cresciuti in credito con il parteggiare la libertà; ma poiché si sono
assicurati nella potenza, sono divenuti tiranni più gravi di quei che op
pressero»23. Parole da cui traspare come la difesa della topica e l’oppo
sizione al monismo metodologico cartesiano siano per Vico non solo
l ’impegno di un pensatore interessato alla definizione dello
status
disci
plinare delle diverse forme del sapere, quanto soprattutto quello di un
filosofo politicamente attento, che nella topica vede lo strumento criti
co adatto a rendere vigili gli uomini nella vita politica. A Vico insomma
non sembrano essere sfuggite le conseguenze che in ambito politico di
scendono da una visione culturale dominata dal monismo metodologi
co professato da Cartesio e dai cartesiani: un monismo che mentre sem
bra opporsi al principio di autorità in effetti lo reintroduce per altra via,
ignorando le forme espressive della ragionevolezza argomentativo-in-
ventiva.
Sin dalla prima
Orazione
egli sottopone, quindi, ad esame il concet
to di sapere, disancorandolo da una sorpassata nozione di autorità, in
tesa come principio dottrinale, sottoposto all’autorità teologica o politi
ca o filosofica, avviandosi verso la ricerca di un metodo, grazie a cui il
sapere sia ripensato secondo un ordine nel quale risultino coniugati il
«principio di autorità» - ovvero l ’autorità degli
auctores
24- con la libertà
23
Risposta di Giambattista Vico all’articolo X del Tomo
Vili
del «Giornale de’ Letterati
d’Italia
» (1712) in
G. Vico, Operefilosofiche
, a cura di N. Badaloni, Firenze, 1971, p. 167.
24 L’«autorità» rinvia per Vico a un originario senso del «divino», come dimensione di
«dominio» che si rivela agli uomini che «desiderano una cosa alla natura che li salvasse»: co-