TOPICA, RETORICA E
SCIENTIA CIVILIS
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nante da cui discendono le condizioni giuridiche ed etiche della vita so
ciale.
Vico, dunque, difendendo la capacità formativa del «sapere», solle
citato non tanto da un programma di mestiere, quanto da un ideale di
vita civile, comprende che in quella forma di conoscenza (che è «topi
ca») si nascondono non solo le condizioni di vita dell’uomo, ma anche e
soprattutto le chiavi per la definizione di una nuova scienza filosofica.
Condanna quindi «la morale dei solitari»47, intesa come fuga dalla vita,
chiusura all’impegno che obbliga ogni uomo a concorrere all’armoniosa
creazione e organizzazione della vita sociale e politica. Una morale con
dannata perché contrasta con la natura socievole dell’uomo, la cui men
te,
ab origine
aperta al modello della sapienza divina, tende a creare un
ordine di vita sociale-civile48. D’altra parte ritrova nelle istanze teoriche
della topica le premesse per superare l
'impasse
in cui erano caduti i filo
sofi della modernità, i quali non avevano compreso la specifica valenza
teorica e pratica del «metodo degli antichi», confinando il sapere del
«saggio-sapiente» nell’ambito della cultura letteraria e filologica.
Al contrario, Vico difende il concetto di «sapere», tradizionalmente
pensato come «virtù» conoscitiva e pratica, poiché in esso ritrova le pre
messe per il mantenimento e lo sviluppo della vita sociale. Tale difesa
passa attraverso la pratica di quelle
artes
linguistico-retoriche che ri
spondono alle esperienze creativo-politiche ed euristico-topiche della
mente. Queste vengono individuate sia come forme poietiche-elocutive,
che quali strumenti metodologici con cui organizzare e avviare le capa
cità della mente verso una forma di corretta acquisizione delle verità di
senso comune, in un ordinato orizzonte di «sapere»49.
47
Ivi.
48 È interessante notare come Vico fondi le ragioni della socievolezza non sulle motivazioni
dell’utile, ma in una naturale, quanto originaria - in quanto scritta nella natura umana - parteci
pazione degli uomini al «vero eterno». L’uomo dunque è «in comunione con gli altri uominimercé
le comuni nozioni dell’eterno vero». Nozioni che unite alla «facoltà della favella» permettono agli
uomini di realizzare storicamente ciò acui essi tendono in virtù della loro originaria appartenenza
al «vero eterno». L’uomo si rivela così essere di ragione e di compassione (capacità di «avere pietà
delle altrui miserie) dimostrando di essere «naturalmente socievole»
(Deuno,
I, XLV, cit., p. 58).
49 «A tal fine la topica li arricchisca [i giovani] dei suoi luoghi e intanto col senso comu
ne progrediscano nella pratica della vita e nell’eloquenza, con la fantasia e la memoria si irro
bustiscano in quelle ani che si servono di queste facoltà, infine apprendano la critica, per giu
dicare in ultimo col proprio cervello sulle cose apprese e si esercitino sui medesimi argomen
ti, sostenendo le due tesi opposte. Così riuscirebbero esatti nelle scienze vigili nelle condotta
pratica della vita, ricchi di eloquenza, immaginativi nella poesia e nella pittura, fervidi di me
moria per la giurisprudenza; si eviterebbe così che divenissero temerari, come quelli che di
sputano su materie che stanno per imparare, né religiosamente creduloni, come quelli che sti
mano veri solo i dogmi del maestro»
(De rat.,
pp. 111-112).