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GIUSI FURNARILUVARÀ
Degno dell’attenzione critica del filosofo e non solo del filologo ap
pare, allora, a Vico quel «sapere» costruito in modo ingegnoso dalla men
te per «ben regolare l ’uomo nella vita civile». Maestro di retorica, Vico
non tarda a scoprire in tale arte un sussidio ermeneutico con cui com
prendere lo specifico carattere della natura umana, come dimensione di
significazione in cui l ’uomo si fa «parola, discorso, sapere», mentre la to
pica diviene una sorta di coscienza civile, grazie alla quale si conserva e
si tramanda il tessuto connettivo della società come comunità. Nella sua
esperienza di uomo di lettere e infaticabile studioso della tradizione clas-
sico-umanistico-rinascimentale, Vico acquisisce la consapevolezza che
l ’uomo non nasce, ma si fa civile; e tale si fa in maniera non molto dissi
mile da come Cicerone aveva insegnato doversi fare il perfetto oratore.
Attraverso Tacito e attraverso Platone, che via via si aggiungono alle sue
letture, egli individua qual è l’uomo (Tacito) e quale deve essere (Plato
ne)50, e tra l ’essere e il dover essere dell’uomo egli scopre quale si deb
ba fare, grazie soprattutto alla funzione plasmatrice della parola, al lin
guaggio come prodotto espressivo che crea e dà forma al perfetto uomo
civile e apre alla comprensione della realtà mondana, interpretandola in
maniera metaforicamente creativa - come risulta già nella prima
Ora
zione.
E interessante notare come Vico individui e sottolinei una stretta con
nessione tra le forme del linguaggio e i caratteri dei popoli. Volendo met
tere in risalto la differenza tra il carattere retorico-metaforico del lin
guaggio e quello logico-critico, egli ricorre al confronto tra la lingua ita
liana e quella francese, dimostrando come il francese non si presti a di
re le cose nella loro pluralità semantica. Osserva infatti:
I
francesi abbondano di sostantivi, ma la sostanza è per sé bruta immo
bile e non ammette comparazioni. Perciò essi non sono capaci di dare calo
re al discorso, perché sono privi di una fortissima commozione, né possono
ampliare e ingrandire nulla. Da ciò l’impossibilità d’invertire le parole, per
ché la sostanza, essendo maggiore dei generi delle cose, non comprende al
cunché di medio, nel quale convengono e si unificano gli estremi delle si
militudini. Perciò con termini di tal genere non si possono formare metafo
re con un solo vocabolo e quelle ottenute con due per lo più sono dure51.
Per Vico dunque la lingua francese risulta rigida, non flessibile, ina
datta a dire «le cose» nella loro abbondanza di senso, impoverendo l’am
pia capacità della mente di porre legami tra cose che, pur se appaiono
50 Cfr.
Vita,
p. 29.
51
De rat.,
p. 139.