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GIUSI FURNARILUVARÀ
ragno che tesse la sua tela, intrecciano relazioni di senso tra loro e con il
mondo. Pur restando per tanti versi all’interno della tradizione umani
stico-rinascimentale, che con grande impegno si era interrogata sulla na
tura delle forme del sapere storico, poetico e giuridico, Vico, accoglien
do la prospettiva topica ed euristica del sapere con nuova intuizione fi
losofica, non tarda ad aprire i contenuti e la forma del sapere tradizio
nale a una domanda di metodo, quale gli veniva suggerita dalle conclu
sioni teoriche a cui era giunto il razionalismo cartesiano. A partire dal
l ’analisi dei mezzi linguistici55 e discorsivi concepiti come attività origi
naria e creativa con cui l’uomo disegna il suo orizzonte di vita civile e di
«sapere», Vico giungerà a congetturare una forma ideale di sapere come
un «etimologico mentale comune» in cui matura un senso filosofico del
la storia che rimane la migliore difesa delle capacità critico-creative del
la ragione umana.
Cartesio, a cui era cara la chiarezza e l ’evidenza degli assiomi origi
nari della matematica, privilegiando l ’uso apodittico-deduttivo della ra
gione aveva screditato il criterio retorico-dialettico della verisimiglianza,
ritenendolo privo di valenza veritativa anche negli ambiti in cui questo
meglio si presta ad essere adoperato, nelle problematiche attinenti la
vi
ta adiva
56. In tal modo, a ben vedere, risultavano messe in discussione
non tanto le capacità etiche, con cui si giudicano le azioni come risulta
to di un’intenzionalità morale chiusa nel nascosto della coscienza priva
ta57, quanto invece la possibilità di riconoscere una forma di ragionevo
55 Com’è noto la letteratura critica sul pensiero linguistico di Vico è vasta e interessante.
Sull’argomento mantengono ancora tutto il loro valore interpretativo gli studi di Antonino
Pagliaro, in particolare, cfr.
Lingua epoesia secondo Giambattista Vico
(1959),
vaAltri saggidi
critica semantica
, Messina-Firenze, 1961, pp. 299-474. Un più recente studio che, valorizzan
do le intuizioni ermeneutiche di Pagliaro sulla linguistica vichiana, sottolinea l’assoluta im
portanza dell’opera di Giambattista Vico nello sviluppo della concezione linguistica pensata
nella prospettiva della individuazione di una «sematologia» è stato condotto da J.
T
rabant
,
La scienza nuova dei segniantichi. La sematologia di Vico,
tr. it. Roma-Bari, 1996.
56 Nella terza parte del
Discours sur la méthode,
Descartes, com’è noto, avanza alcuni cri
teri orientativi per mantenere viva una morale che definisce «provvisoria», ma che, tuttavia,
resterà definitiva. Una morale del «buon senso» a cui risultano estranee le questioni di fondo
circa la chiarificazione del concetto di responsabilità e di libertà nell’ambito dell’etica pub
blica.
57 Non a caso Descartes invoca «la religione» come dottrina nella quale è stato «istruito
fin dall’infanzia» a sostegno della sua morale provvisoria. Di contro, Vico pensa al «senso co
mune» come a quella sorta di «coscienza» pratico-storica che abilita alla prudenza come virtù
«politica» e senza la quale non si dà vita civile: «Il senso comune esprime il fondamento d’e
sperienza della realtà empirica dell’umanità. Proprio in quanto il senso comune è costitutivo
per il mondo sociale degli uomini, il ritirarsi nel senso proprio del mondo privato non solo di
strugge il mondo comune, ma nega l’umanità
tout court»
(J.
G
ebhardt
,
Sensus communis: Vi
co e la tradizione europea antica
, in questo «Bollettino» XXII-XXIII, 1992-1993, p. 51).