INVENTIO
E VERITÀ NEL PERCORSO VICHIANO
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Contemporaneamente, prendendo a modello Cicerone,
Xingenium
anche in Vico mostra all’uomo la sua matrice divina. «Non solo è comu
nemente ripetuto ma è dimostrato anche dai filosofi che l’ingegno è il pa
dre divino di ogni ritrovato (
ingenium esse divinum inventionum paren
tem)»1'*,
commenta Vico nelle
Vici vindiciae,
e se i filosofi si applicasse
ro allo studio della fisica secondo il metodo dell’ingegno «sarebbero si
mili, in certo qual modo, a Dio onnipotente, in cui l’intelletto e l’attività
(intelligentia et opus)
sono un’unica ed identica cosa»20: è il principio del
verum-factum
(enunciato quasi un ventennio prima) trasformato. E in
virtù dell’ingegno che l’uomo riesce a conoscere quel che semplicemen
te vede - e in questo Vico risponde anche all’eredità rinascimentale,
quanto meno all’affermazione di Cusano nella quale s’individua la diffe
renza tra mente divina e mente umana nella differenza tra il ‘fare’ e il ‘ve
dere’. L’intelletto dell’uomo vichiano vede le cose tutte insieme, ma non
può, proprio perché non è dio, conoscerle insieme: l’ingegno compie
questa operazione che lo avvicina al conoscere della divinità, cioè mette
insieme le parti e sperimenta i possibili reciproci rapporti. Nella degn.
X XXV I della
Sn44,
quando Vico afferma che «la fantasia tanto è più ro
busta quanto è più debole il raziocinio» non si verifica quella che viene
definita una complementarietà dialettica tra ‘ingegno’ e ‘giudizio’ o ‘in
telletto’21 consueta nella retorica classica calata in ambiente barocco.
L’antitesi compare già nella VI orazione inaugurale, dove però intervie
ne anche la memoria, quasi sinonimo di fantasia, come si ricava poco do-
facoltà ingegnosa, come per esempio emerge dalla bella analisi compiuta da Amerio nella sua
opera del ’46 (F.
AMERIO,
Introduzione allo studio di G. B. Vico,
Torino, 1946), dove si dichiara
subito la connessione tra teoria dell’ingegno e
verum-factum
(p. 74): la conoscenza scientifica
è garantita dall’identità tra
verum e factum,
che a sua volta è messa in atto dall’ingegno. Nel
concetto di ingegno si evidenziano però, secondo Amerio, due indirizzi: uno della facoltà di
conoscere il vero spontaneo, l’altro di ottenere il vero critico, laddove il primo è connesso al
la dottrina del senso comune, il secondo al
verum-factum.
Nella prima accezione l’ingegno si
intende come un carattere dell’età sensitiva (p. 171); l’unità della mente fantastico-poetica ha
nella fantasia l’aspetto individualizzante, nell’ingegno la connessione con il mondo della ve
rità. Nella seconda accezione, l’ingegno è visto non come funzione del plesso cognitivo-fan-
tastico, ma del plesso riflessivo-razionale (p. 76), che col primo viene «confuso ed equivoca
to». In realtà il nesso immaginazione-memoria-fantasia attribuisce funzioni e ruoli diversi al
le tre facoltà che operano con il dato da conoscere, quel plesso cognitivo-fantastico che per i
primi uomini corrisponde all’unica strumentazione cognitiva: anche se per Vico ingegno, fan
tasia e memoria sono le uniche doti spirituali ingenite, sulle quali si sovrappongono tutte le
altre, e sono comunque un’unica facoltà dotata di tre funzioni diverse, è «
memoria
mentre ri
membra le cose;
fantasia,
mentre le altera e contraffà;
ingegno,
mentre le contorna, e pone in
acconcezza, ed assettamento».
19
Vici vindiciae,
cit., p. 59.
20
Ibid.,
p. 61.
21 Ediz. Battistini, cit., p. 1527, n. 2.