TOPICA, RETORICA E
SCIENTIA CMLIS
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Così concepito, il «senso comune» si predispone a essere inteso co
me «sentimento della comunità»70, disposizione dell’animo e della men
te accostabile, per certi versi, alla funzione che Kant, nella terza
Critica
,
affida al «giudizio» come facoltà del sentimento. Tuttavia è bene tenere
presente che le considerazioni con cui Vico affronta nel
De ratione
la de
finizione del senso comune e la ricongiunzione di questo all’
ingenium,
quale capacità atta a ri-creare, attraverso la fantasia, la memoria e l ’im
maginazione, «qualcosa di comune non a più sensi, ma a più individui»71,
hanno una connotazione umanistico-retorica di cui è priva invece l ’ope
ra di Kant. È stato, dunque, osservato che «non si può ricondurre for
zatamente Kant a una tradizione umanistica della quale egli è abbastan
za lontano e della quale invece la filosofia vichiana del senso comune è
forse l ’ultima erede»72. Ciò conferma quanto giustamente ha fatto nota
re Stephan Otto, segnando i tratti della diversità tra Kant e Vico, pro
prio in relazione alla condizione della «coscienza storica» a cui si lega in
Vico, a differenza che in Kant, la «convertibilità trascendentale del bel
lo nel vero»73. «Diversamente da Kant, - osserva Otto - Vico non è un
logico trascendentale, bensì un logico della trascendentalità di tutta la
mente che, nella sua sensibilità, nella sua fantasia, ‘fa’, a partire della sua
memoria e grazie al suo ingegno, il vero e il verosimile»74. Kant lega la
sua concezione estetica al «concetto di sublime come simbolo del mora
le e, attraverso il concetto di morale,
al compito storico dell’uomo
75, pro
ducendo un’analisi del bello e del sublime del tutto priva della «figura
storica dell’estetico». Al contrario, Vico, poiché «pensa, come l ’ideale,
anche il bello e il sublime
in quanto simbolicamente realizzati
nelle crea
zioni di poeti e artisti»76, viene a collocare il senso della creatività della
funzionalità trascendentale della mente nella percezione estetica del bel
lo storico-sensibile. Al di là delle importanti differenze che tengono di
70 L. A
moroso
,
Vico, Kant e il senso comune,
in
I
d
.,
Nastri vichiani,
Pisa, 1997, p. 74.
71
Ivi.
72
Ivi.
73
O
tto
,
op. cit.,
p. 127. Per Otto il principio vichiano della «convertibiltà» trova un in
teressante momento di applicazione nel legame
verum-pulchrum
quale viene pensato nelle
In
stitutiones.
Ciò risulta messo in luce particolarmente nel modo in cui Vico concepisce i «det
ti acuti», in polemica con Tesauro e Pellegrini. «In opposizione alla poetica del Rinascimen
to e del Barocco - osserva Otto - Vico parla di una convertibilità dei concetti trascendentali
‘bello’ e ‘vero’. Nell’espressione simbolica
Xingenium
crea un
verum
che
è
esso stesso un
pul
chrum:
: nel simbolo è insito ‘il senso stesso di un vero e di un bello da scoprire’. Ciò significa
in breve che, nelle
Institutiones oratoriae,
Vico non assegna affatto al linguaggio solo l’idea del
bello, ma la convertibilità reciproca di bellezza e verità» (p. 106).
74
Ibid.,
pp. 128-129
75
Ibid.,
p. 128.
76
Ivi.