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GIUSI FURNARILUVARÀ
stinto Vico da Kant, è tuttavia possibile trovare fra i due filosofi delle af­
finità non prive di interesse, «anche proprio in rapporto al tema del sen­
so comune»77, in riferimento al rinvio a una attività giudicativa, quale
forma di esercizio critico che vive in ampio e profondo riferimento con
la realtà sociale.
Vico, nel ricercare i modi attraverso cui si forma
Vhabitus civilis,
muo­
vendo da una concezione «topica» del sapere, scopre la funzione euri­
stica del «senso comune», riconducendola all’
ingenium
come capacità
immaginativo-creativa, a partire dalla quale si storicizza la vita dialettica
della mente. Egli può dunque riconnettere la questione etico-politica del­
la «sapienza-prudenza» alle possibilità di sviluppo che vengono alla men­
te dalla dialettica topica, come luogo del darsi di un fondamento stori­
co-critico del sapere. In questo contesto si comprende come il «senso co­
mune» si apra all’attività critica del giudicare: attività dialettico-discor­
siva a cui bene si presta l ’ordine espressivo della topica, là dove millen­
ni di esperienza di vita comune si trovano fissati nella forma logica del-
l ’opinabile-verosimile. Inoltre, il riferimento vichiano alla topica è teso
ad esaltare le funzioni euristiche della mente e rinvia non tanto alla for­
malizzazione del ragionamento nel sillogismo, quanto alle forme della
creazione poetica e inventiva, di cui la metafora è la migliore testimo­
nianza.
Vico invero intuisce che il senso comune, trovando nella topica il suo
«regolo di Lesbo»78, si immerge nella vita e, conformandosi «ai momenti
e alle contingenze»79 secondo «prudenza», diviene lo strumento critico
con cui gli uomini si orientano nella vita civile. Luogo di difficile equili­
brio di fatti umani, la vita civile, per sua interna e complessiva dinami­
ca, appare aperta all’abisso della barbarie, risultando tanto più a rischio
se si trascura di avviare ogni nuova generazione all’esercizio del giudi­
77 A
moroso
,
op. cit.,
p. 74.
78
De rat.,
cit. p. 133; sul tema della misura del regolo di Lesbo cfr.
G . GlARRIZZO,
«Ae­
quitas» e «prudentia». Storia di un topos vichiano
, in questo «Bollettino» VII (1977), pp. 5-30,
poi in Id.,
Vico, lapolitica e la storia
, Napoli, 1981 pp. 145-174, in partic. pp. 172-174. Al me­
tro dei Lesbi si appella Roberto Mazzola come a un indicatore di senso della filosofa vichia­
na, la quale «non affronta più esclusivamente il problema cronologico, adotta la più ampia
delle cronologie possibili e focalizza la sua attenzione sul significato stesso del tempo per la
storia. La sua battaglia si sposta così sul piano della logica interna al significato del tempo per
l’uomo, che non ha la connotazione di mero riferimento esterno e condizionante, bensì quel­
la di variabile dipendente dalla soggettività umana e dalla sua civiltà». Una spazialità storica
del tempo che si misura - e non può altrimenti misurarsi - con «il regolo di Lesbo» (R.
MAZ­
ZOLA,
Il metro dei Lesbi. Appunti sull’evoluzione della civiltà secondo Vico,
in questo «Bollet­
tino» XVI, 1986, p. 296).
79
De rat.,
cit., p. 131.
1...,144,145,146,147,148,149,150,151,152,153 155,156,157,158,159,160,161,162,163,164,...241