RECENSIONI
165
un autore. Nel 1994 il «Centro di studi vichiani» si fece promotore di un con
vegno, in occasione del 250° anniversario della morte di Vico, sull’edizione cri
tica delle sue opere
(L1edizione critica di Vico: bilanci eprospettive,
a cura di G.
Cacciatore e A. Stile, Napoli, 1997), riservando una sezione sul panorama in
ternazionale degli studi vichiani, con particolare rilievo alle edizioni straniere.
E questa sezione ricordava, ovemai ci fosse stato qualche dubbio, che una tra
duzione è fatta in gran parte di lavoro proprio su questi termini «inconfondibi
li», dei più problematici dei quali Pons propone un glossario. Glossario che ren
de pienamente giustizia della storia delle difficoltà di questa traduzione, che si
vede risente di una lunga e matura riflessione filosofica sulla terminologia vi
chiana.
E lo stesso Vico a segnalare, in un passo del VII capitolo del
De ratione,
la
differenza tra il lessico francese e quello italiano che viene messo a disposizio
ne per esprimere certi concetti, e a segnalare che «i francesi abbondano di so
stantivi», e per questo «non sono capaci di dar calore al discorso, perché sono
privi di una fortissima commozione, né possono ampliare o ingrandire nulla»,
e cioè non possono formare le metafore: «ricca di sostantivi e di quei vocaboli
che gli scolastici definiscono sostanze astratte, essa esprime i princìpi generali
delle cose»
(G. Vico,
De nostri temporis studiorumratione,
in
Opere,
a cura di
A. Battistini, 2 voli., Milano, 1990, voi. I, pp. 139-141). Al contrario, gli italiani
usano una lingua che suscita continuamente immagini, che si presta alle simili
tudini e alla formazione di metafore. Qualità diverse che mettono in luce per
Vico differenze sostanziali; e assodato che - per citare ancora un passo di que
sto lungo brano - «le indoli dei popoli si formano con le lingue e non le lingue
con le indoli», Vico sottolinea a titolo esemplificativo un’essenziale differenza
terminologica tra 1
'ingenium,
che designa in italiano «questa facoltà della men
te che lega in felice sintesi nozioni staccate» e lo
spiritum
francese (che Battisti
ni giustamente traduce nella versione italiana
esprit
)
che indica la capacità ana
litica. Quasi 1’
ingenium
fosse termine intraducibile per la lingua francese. Nel
la versione francese di Doubine è di volta in volta
intelligence, intelligence créa
trice,
ma anche
idée d’adresse
con riferimento specifico al mito di Dedalo e al
suo essere «ingegnere».
Di fatto lo stesso Pons, alla voce «Ingegno» del glossario ammette che il
francese non possiede una parola che traduca perfettamente questo termine e
scarta rigorosamente ed efficacemente la traduzione di
esprit
(legato soprattut
to per Vico alla netta contrapposizione al «corpo») o
génie,
optando per la scel
ta di lasciare
ingegno
in italiano anche nel testo francese. Definendolo poi spe
cificamente nei casi particolari.
Da dire tra parentesi che nell’edizione tedesca di Auerbach (1924)
Geist
va
le sia per «ingegno» che per «mente», poi corretto da Hoesle-Jermann (1990)
in
Geist
(mente) e
Erfindungsgabe
(ingegno). Uguale difficoltà è stata incontra
ta nel panorama delle lingue anglosassoni; Verene, nel convegno del «Centro di
studi vichiani» sulle edizioni critiche (cit., pp. 202-205), ricordò come il termi
ne
ingenium
non avesse alcuno
status
nella filosofia moderna, e nelle traduzio