RECENSIONI
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loro matrice più autenticamente latina. Le scelte di questa nuova traduzione
francese si presentano assolutamente rispettose dell’ esigenza di mantenere una
specificità forte del testo italiano e dei suoi usi terminologici, ma insieme anche
di modificare con puntigliosità la genericità di un termine offrendone sfumatu­
re diverse.
E la traduzione di Pons ci sembra davvero che garantisca, su questo picco­
lo territorio linguistico utilizzato come falsariga di un discorso su Vico, la ri­
presa in Francia di un dibattito su Vico che abbia per oggetto un testo filosofi-
co correttamente e fedelmente impostato, che possa costituire non l’avvio ma
la prosecuzione di un lavoro sulle opere vichiane che in questo momento, gra­
zie soprattutto a Pons e alla sua scuola di giovani, è ricco e assai vivace.
M
anuela
S
anna
G
iambattista
VICO,
Universal Right,
Translated from Latin and Edited by
G .
A. Pinton and M. Diehl, Amsterdam-Atlanta, Rodopi, 2000, pp. 825.
Va accolta con gratitudine la traduzione integrale inglese del
Diritto univer­
sale-.
non tanto per il primo innegabile risultato raggiunto dai due traduttori,
Giorgio A. Pinton e Margaret Diehl, quello di divulgare un classico, quanto per
le questioni interpretative che questa versione solleva o contribuisce a riaprire.
Sobriamente esplicitati
n&ìAvvertenza
iniziale (pp. XXV-LII), criterf-chia-
ve della traduzione sono la rigorosa (quantunque non assoluta, come vedremo)
attinenza al dettato latino e il raffronto con gli usi lessicali consolidati negli studi
vichiani di lingua inglese. Di qui il richiamo costante alla versione di Thomas
Goddard Bergin e Max Harold Fisch della
Scienzanuova
del ’
44 (TheNewScien­
ce of Giambattista Vico
, Ithaca, N. Y., 1986), intrapresa tra Napoli e Capri nel
1939, in dialogo ravvicinato con Croce e Nicolini, e licenziata nel ’48.
Non solo: tradurre il
Diritto universale
induce anche a misurarsi con le con­
nessioni intertestuali dell’opera, ossia con la trama delle citazioni di cui è intes­
suta e di cui Vico ora dichiara, ora omette, «metabolizza» (come Corrado Bo­
logna dice di Ariosto), la fonte. Tra questi prelievi, un posto di primo piano è
occupato dalla letteratura giuridica romana e, in particolare, dalle cosiddette
fonti tecniche. Il che sollecita un confronto fra la traduzione Pinton-Diehl e un’i­
niziativa editoriale altrettanto meritoria: la traduzione inglese dei
Digesta
giu­
stinianei, ad opera di
miéquipe
coordinata da Alan Watson
(The Digest ofju-
stinian,
Philadelphia, 1985, in quattro tomi).
Tenendo presenti i due registri del discorso vichiano, lo speculativo e il giu­
ridico, selezionerei da un campionario vastissimo alcuni esempi particolarmen­
te perspicui del lavoro - oltre che degli orientamenti metodologici - dei tra­
duttori del
Diritto universale.
Cominciamo dal registro speculativo. Una prima annotazione riguarda il ti­
tolo del terzo paragrafo del capitolo CIV del
De uno-,
«Historia nondum habet
1...,157,158,159,160,161,162,163,164,165,166 168,169,170,171,172,173,174,175,176,177,...241