RECENSIONI
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so della
civilispotestas),
è
imperium
la voce che fa registrare qualche oscillazio­
ne. Le scelte della Pinton-Diehl spaziano da
sovereignty
(«a kind of patemal so-
vereignty» per «imperium paternum»:
Universal Right,
p. 409;
OG,
p. 531) a
supremacy
(«under thè severest supremacy of thè fathers» per «sub hoc seve­
rissimo patrum imperio»:
Universal Right,
p. 411;
OG,
p. 535), a seconda che
l ’accento cada sul carattere insieme pubblico e privato del potere paterno («a
rudimentary monarchic kingdom») o, più genericamente, sulla superiorità ge­
rarchica dei
patres.
In entrambi i casi il discorso vichiano è còlto nelle sue sfu­
mature più sottili.
Mi sembra invece da respingere quest’altra resa di
imperium.
L’esempio è
tratto dal capitolo CXXXII
(«Ius» praesentiapotestatis civilis
) del
De uno-,
«lo­
cum ubicumque praetor, salva maiestate imperii salvoque more maiorum, ius
dicere constituit»
(OG,
p. 157). Si tratta di un prelievo da Paul. D. 1. 1.11, con
la sola variante dell’omissione di «sui» dopo «imperii». Pinton e Diehl tradu­
cono: «in that whatever place where thè Praetor, with full respect for thè maje-
sty of thè Empire and thè pristine custom of forefathers, decides to state what
thè right is». Tratti in inganno dall’omissione vichiana, i traduttori interpretano
il brano come se la
iurisdictio
del pretore incontrasse un limite esterno nel po­
tere imperiale
(Empire),
oltre che nel
mosmaiorum.
In realtà,
imperium
qui de­
nota il potere magistratuale, ossia il potere di cui è titolare il pretore stesso. Né
deve fuorviare l’impiego del termine
maiestas,
che va riportato, secondo l’indi­
cazione di Georges Dumézil, al suo valore basico di «rango superiore» e di «rap­
porto gerarchico». Inoltre, la conclusione del frammento di Paolo («is locus rec­
te ius appellatur») dimostra come uno dei significati originari di
ius
sia quello
di «luogo di esercizio della giurisdizione». Si definirà
ius
la sede dell’esercizio
effettivo della funzione giurisdizionale: l ’attrazione tra fatto e diritto, tra un
quid
facti
e un
quid iuris,
è potente e nitidissima. Il brano potrebbe quindi essere ri­
tradotto: «dovunque il pretore, senza sminuire il rango superiore del suo pote­
re e nel rispetto dei costumi degli antenati, decida di amministrare la giustizia,
quel luogo si dice a giusto titolo
ius».
Così è anche nella versione di MacCor-
mick: «wherever thè praetor has determined to exercise jurisdiction, having due
regard to thè majesty of his own
imperium
and to thè customs of our ancestors,
that place is correctly called
ius»
(p. 3).
Questa proposta di revisione non inficia affatto la valutazione del lavoro di
Pinton e Diehl, che sovente migliorano la traduzione delle fonti tecniche. Co­
me esempio tra i molti possibili, addurrei il calco dal
Liber singularis enchiridii
di Pomponio, nel capitolo conclusivo del
De constantia-,
la formula «ius, quod
sine scripto venit compositum a prudentibus» (Pomp. D. 1. 2. 2. 5) è resa con
«a right composed by thè prudent (...) did not survive in written form» (p. 530),
che è soluzione più elegante e fedele di quella di MacCormick, «jurisprudence
which without formai writing emerges» (p. 4).
Un discorso analogo può farsi per la definizione ulpianea della giustizia co­
me «constans et perpetua voluntas suum cuique tribuendi» (Ulp. D. 1 .1 .1 0 .1 ,
ripresa in
OG,
p. 71): tradurla con «thè constant and perpetuai, that is, eternai
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