18
MANUELA SANNA
all’intervento dell’ingegno, privato però della sua capacità sintetica, che
perciò stesso produce
monstra.
Il carattere grottesco degli
arguta dieta
vien fuori dall’assemblare parti non coordinate fra di loro, non adatte
l’una all’altra, non della stessa natura, così come il mostro quale ele­
mento mitologico figura nello stadio degli eroi che, denunciando il pas­
saggio dalla fase divina a quella umana, ne condividono per metà en­
trambe le nature. Quel che si ottiene non è una verosimiglianza, bensì
una simulazione della verità che non produce conoscenza. Quel che ge­
nera il riso è un «inganno che viene teso all’ingegno umano avido del­
la verità» (ed è tanto più incontenibile quanto imita maggiormente la
realtà)33 quando gli viene proposto qualcosa in forma «subturpe», non
«turpe», cioè leggermente deformato e non completamente lontano
dalla verità, qualcosa di falso che si nasconde sotto l’apparenza del ve­
ro, parafrasando Orazio. Così l ’arguzia riguarda «qualcosa di falso che
si arrogava una qualche parvenza di verità» in maniera tale che, men­
tre l’acutezza riguarda «ciò che apparentemente sembrava diverso ma
che viene riconosciuto uguale nella sostanza, e cioè una verità che si na­
scondeva sotto l’apparenza del falso», al contrario l’arguzia «riguarda
ciò che sembrava uguale ma che poi si rivela nella sostanza diverso, cioè
qualcosa di falso che si arrogava una qualche parvenza di verità»34. E
tutto ciò si ottiene deformando leggermente la realtà, non così tanto da
renderla irriconoscibile, ma solo trasformata. Vico si appropria della
tradizione che, partendo già dalle Sacre Scritture, confina il ridicolo in
una zona fra l ’umano e l’animalesco, perché frutto di tendenze malva­
gie, veicolo del falso mascherato di verità, inganno dell’ascoltatore35. E
si serve di questa teoria per dimostrare che una creazione linguistica
elegante è anche opera dell’ingegno, attingendo a piene mani dalla
Re­
torica
aristotelica, e lasciando intendere come il discorso si possa am­
pliare in chiave simbolica e non isolare solo all’aspetto linguistico del
problema.
Vico riconosce che il riso è prerogativa dell’uomo, ma lo relega ne­
gli aspetti meno distintivi dell’umano, in una zona patologica e immora­
le, confinante con la sragione e l’animalesco. «Gli uomini seri e severi
non ridono, perché poco adatti al gioco. Concentrati nell’esercizio del
loro ingegno non si lasciano distrarre da altro»36. E in questo caso l’in­
gegno che differenzia l ’uomo dalle bestie è il padre dei detti acuti; ma
33
Vici vindiciae,
cit., p. 68.
34
Ivi.
35 Cfr. CERASUOLO,
op. cit.
36
Ibid.,
p. 328.
1...,8,9,10,11,12,13,14,15,16,17 19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,...241