RECENSIONI
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fettive dalla rivolta antidogmatica dei secoli XV e XVI, allorché si era venuta af
fermando, contro la visione di un’unità della rilevazione del vero opposta alla
varietà delle sette, e attraverso una vivace rottura critica, l’idea di una pluralità
di concezioni filosofiche, e quindi di una molteplicità di vie d ’accesso alla ve
rità»
(E. G a rin ,
La storia ‘critica’ dellafilosofia del Settecento,
in «Giornale Cri
tico della Filosofia Italiana» XLIX, 1970, pp. 37-69; ora in
ID.,
DalRinascimento
all’Illuminismo,
Firenze, 1993). In questa prospettiva riteniamo opportuno col
locare la rilettura effettuata dal Tolomio di tre secoli di contributi alla storia del
la filosofia italiana, seguiti lungo il filo rosso dell’idea di esperienza, senza ne
cessariamente dover giungere alla conclusione di vedere in essa il tratto ege
mone di un panorama filosofico e storiografico, in effetti, ben più articolato e
contraddittorio. Al Tolomio non sfugge, del resto, l’accezione «debole» in cui
molti autori intesero il termine «esperienza» per la mancata distinzione dei no
stri storici della filosofia tra esperienza ed esperimento che finisce per conno
tare il primo come criterio di valutazione di una filosofia (p. 47). Ciò non signi
fica una rigida compartimentazione degli ambiti di ricerca, poiché furono pro
prio filosofi della natura rinascimentali come Campanella e Telesio ad essere in
dicati tra i fondatori di quella filosofia dell’esperienza che ha in Galileo il suo
massimo esponente, e non a caso assurto a nume tutelare della filosofia
italia
na.
Infatti, ricorda il Tolomio, «da Galileo prende avvio nel nostro paese una
lunga ininterrotta catena di filosofi della natura, che avevano sostituito alla so
la
ratio
la ‘sensata esperienza’ nella ricerca della verità, delineando così, a poco
a poco, la propria identità filosofica, in netta contrapposizione con le moderne
elaborazioni empiristiche o naturalistiche d ’oltralpe» (p. 95); ed è a questa iden
tità della nuova filosofia sperimentale italiana che, tra Sei e Settecento, si ri
chiamano autori come Marsili, Valletta e Gimma. A questa prima fase di un in
teresse non alieno dall’esigenza di elaborazione di autonomi canoni storiografi
ci ed epistemologici, talvolta in competizione con i modelli proposti in altre aree
culturali europee, segue nella seconda metà del Settecento una strategia di re
cupero e neutralizzazione della stessa «filosofia sperimentale» da parte dei set
tori più tradizionalistici della cultura cattolica italiana; cosicché, rileva il Tolo
mio «sorta in contrapposizione all’astrattismo razionalistico delle degenerazio
ni della filosofia scolastica, l’idea di esperienza finisce per essere un luogo co
mune metodologico e insieme ideologico, in cui tutti si ritrovano» (p. 110). In
particolare, a cavaliere tra Sette e Ottocento, nelle opere di Appiano Buonafe
de non si lesina entusiasmo per la «filosofia osservatrice», mentre Francesco
Soave accomuna Galilei a Newton, Locke a Condillac, in nome di una filosofia
dell’esperienza sempre «appoggiata a fondamenti solidi e reali» contro l ’even
tuale diffondersi delle «nuove opinioni sulla ragione» di Kant. In taluni casi al
tri sono gli obiettivi polemici dell’intransigenza cattolica; a Napoli, ad esempio,
un protagonista influente e potente come Francesco Colangelo se da una parte
esalta nel 1815 la figura di
Galileopropostoper guida alla gioventù studiosa,
dal
l’altra, nel 1822, addita la pericolosa eterodossia del pensiero di Vico nelle sue
Considerazioni
sulla
Scienza nuova.