RECENSIONI
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arcivescovile, sostenitore in campo morale del probabilismo ufficiale della Cu­
ria napoletana ma anche capace di unire al sicuro zelo nel combattere il gianse­
nismo un più ‘benigno’ atteggiamento pratico sperimentato nel ministero sa­
cerdotale. Fin qui i rapporti tra i due uomini di chiesa. Ben diversa è la pro­
spettiva dalla quale affrontare il ruolo del Torno nel ‘caso’ Giannone sul quale
l’autore si ferma a lungo (pp. 153-192) per confermare l’attribuzione al Torno
del manoscritto antigiannoniano e soprattutto per valutare l’eventuale peso da
lui esercitato nella revoca nell’ottobre del 1723 della scomunica comminata il
29 aprile dello stesso anno. Lo scritto antigiannoniano fu redatto, infatti, su
esplicita richiesta del cardinale Pignatelli che aveva scelto il Torno quale suo teo­
logo personale e dei di lui servigi si avvaleva già dal 1718 in qualità di revisore
ecclesiastico. L’opera, composta a tambur battente, anche se non scritta ad uso
del Santo Officio, segue però l’andamento degli esami inquisitoriali. Divisa in
quattro parti corrispondenti ai quattro tomi del
Ylstoria Civile
e alle citazioni ri­
portate in italiano seguono in latino le note del Torno che non dubitando dei
sentimenti religiosi dell’autore giudica «l’opera giannoniana non eretica, ma
particolarmente pericolosa, perché essa può arrecare più danno ai cattolici de­
gli stessi libri scritti da eretici» (p. 173). La censura del Torno incontrò il favo­
re del cardinale tanto che il Pignatelli nel 1725 gli conferiva la carica di giudice
ecclesiastico di tutte le cause, civili e criminali e quella non meno delicata di con­
sultore del S. Officio, inoltre, insieme a P. M. Gizzio e P. C. del Doce contribuì
alla stesura dei deliberati finali del sinodo del 1726 e infine, nel 1730, ricevette
la prestigiosa nomina a Canonico diacono cardinale della chiesa di Napoli. Do­
po la morte, nel 1734, del cardinale Pignatelli (e fu Tomo a recitare l’orazione
funebre nella chiesa di S. Maggiore) l’attività del canonico continuò instanca­
bile, nel mutato assetto seguito all’arrivo di Carlo di Borbone, come collabora­
tore del nuovo cardinale, Giuseppe Spinelli e gli anni Quaranta segnarono la
sua definitiva consacrazione all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. Nel 1741
fu incaricato alla revisione dei libri, eletto Decano dell’Almo Colleggio dei Teo­
loghi e nominato, nel 1744, giudice del Tribunale misto composto da laici ed
ecclesiastici allo scopo di tentare di appianare quanto non risolto dal Concor­
dato del 1741. Sul suo operato di quegli anni valga quanto osserva l’Ajello, nel­
la
Prefazione,
paragonandolo ad un altro autorevolissimo ecclesiastico, il Galia-
ni: «Torno e Galiani possono essere indicati come simboli e indici di due linee
opposte: infatti, se il primo si teneva stretto alle tradizionali direttive romane, il
secondo esprimeva le esigenze di una ricerca scientifica naturalistica e matema­
tica e procedeva faticosamente entro i limiti delle matrici cattoliche» (p. XI).
Non meno duro il giudizio espresso dal Genovesi nella sua
Autobiografia
che
ricordava il Torno come un «vecchio, inteso della buona teologia ma più poli­
tico che cristiano. Era il più gran furbo, che fosse in Napoli, il più amante del­
la potenza ecclesiastica» (p. 117). Il ricordo del Genovesi si riferisce all’incon­
tro avuto con il Torno nel ’47 allorquando chiese al cardinale Spinelli di nomi­
nare una commissione di teologi per valutare la sua idoneità alla cattedra di Teo­
logia deU’Università. Bisogna convenire con il Pacia che nonostante i suoi set-
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