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RECENSIONI
tantacinque anni il Tomo non aveva di certo perso la sua lucidità. Al Genovesi
che protestava la necessità di ritenere la verità di ragione, come ad esempio
to­
tumest maius sua parte
, non meno valida della fede nella resurrezione, il Torno
avrebbe risposto «No quella massima è certa, ma non così come quelle di fede.
Ecco i gradi della certezza» (p. 118). Già in precedenza i due si erano incon­
trati; nel ’41 quando il Genovesi si presentò da Torno per difendersi dalle ac­
cuse di deismo. Anche in quella circostanza l’atteggiamento del Torno era sta­
to di prudente mediazione e di sottile condizionamento volto all’autocensura
più che alla repressione diretta.
Infine a proposito delle pagine dedicate dall’autore a Torno e Vico (pp. 98-
114), che sono comunque una utile messa a punto di quanto possibile discute­
re sulla base delle fatiche vichiane del Nicolini, ci limitiamo ad osservare che i
termini della questione vanno ormai profondamente rivisti alla luce del «dos­
sier Vico» conservato negli Archivi del Santo Officio e di recente divulgato e
studiato, in modo autonomo ma consentaneo, dal Costa e dal De Miranda. Ma
il Pacia, ovviamente, durante il suo lavoro non ha potuto avvalersene.
R
oberto
M
azzola
«New Vico Studies» XVII (1999), pp. 155.
Il
fascicolo si apre con alcune pagine che ripropongono un’annosa questio­
ne attorno a Vico, inestricabilmente interpretativa e metodologica, che appare
ben lungi dall’essere esaurita, e - almeno nei suoi profili teorici - in effetti ine­
sauribile. Si tratta di un breve, ma fitto, ‘dialogo postumo’ suscitato dalla pub­
blicazione in spagnolo, solo di recente, di alcune osservazioni mosse da Isaiah
Berlin al volumetto del 1985 di Peter Burke su Vico, e dalla «replica» di questi:
cfr. I. BERLIN,
The Reputation of Vico
e P. B
urke
,
Response to Berlin: Vico Di-
sparaged?,
pp. 1-10 (pagine apparse in
Isaiah Berlin: La mirada despierta de la
historia,
Madrid, 1999).
Berlin non mancava di riconoscere i meriti del lavoro di Burke: in partico­
lare di avere assolto al compito non facile di presentare con efficace chiarezza
l’oscura selva del pensiero vichiano. Ma gli rivolgeva l’appunto di averlo in un
certo modo disdegnato, privandolo - per sottrarlo al ‘mito’ del genio isolato e
incompreso nel tempo suo - dell’effettiva paternità di una serie di eccezionali
conquiste, spazianti dall’antropologia sociale alla fondazione delle
Geisteswis-
senschaften,
dall’estetica alle forme del linguaggio e del mito, etc. Possibile che
dinanzi a tutto ciò - era questo il principale argomento di Berlin - personaggi
della statura già di Michelet si sbagliassero nel riconoscere in Vico un anticipa­
tore disconosciuto di stili e contenuti di pensiero affermatisi successivamente?
La sintetica replica di Burke in verità a mio parere si presenta largamente
persuasiva dal punto di vista interpretativo (a parte qualche semplificazione),
nel ritenere che Vico non suggerisse una ricostruzione del passato nei termini
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