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RECENSIONI
quentazione di una non esigua letteratura secondaria italiana nella quale non è
mancata l ’imputazione, talora assai grossolana, a Vico e vichismi, di avere im­
personato o alimentato tendenze ideologiche reazionarie). In questa direzione
l’A. appronta qui un efficace disegno, sorretto da un’adeguata documentazio­
ne critica, del significato politico-ideologico del diffuso richiamo alla forza pre­
riflessiva, irrazionale, del mito in ispecie nella cultura tedesca del primo dopo­
guerra; e quindi si sofferma segnatamente sul tentativo di contrastare (ricolle­
gandosi anche o specialmente a Vico) le versioni razziste di quel richiamo, di di­
chiarata matrice fascista e nazista, con versioni che (nel contesto di quell’oriz­
zonte irrazionalistico di pensiero, va detto) provavano almeno a salvaguardare
una dimensione di universalità del mito tramite l’indicazione della continuità
tra le eredità della mitologia greca e la tradizione latino-umanistica. Si tratta del­
la vicenda del «Humanismus-Streit», rievocando la quale naturalmente i per­
sonaggi principali risultano Walter Friedrich Otto e soprattutto Ernesto Gras­
si. E una vicenda che, con riferimento a Vico, meriterebbe di essere ricostruita
anche in modo più circostanziato. Mali appare bene attrezzato per un simile
compito. Anche per esso non sarebbe però inutile approfondire quanto, sul pia­
no ‘filologico’, l’indubbia vichiana «concezione mitopoietica della vita umana»
davvero fosse e sia idonea a sorreggere le tesi che «la nostra (come qualsiasi al­
tra) civiltà non solo emerge da, ma attualmente consiste in, miti organici», e so­
prattutto che «il mito non soltanto è antecedente, ma anche superiore alla ra­
gione» (p. 12): una tesi che avrebbe ripugnato al pensatore italiano.
Il
successivo contributo di E.
M
orera
,
Vico and Antifoundationalism
(pp.
35-51), riapre una discussione che - in forme più o meno tematizzate - ha at­
traversato non marginalmente i «New Vico Studies»: sulTascrivibilità di Vico a
impostazioni, prospettive, di tipo «antifondazionalista» e quindi sulla possibi­
lità di considerarlo (se non altro per meriti di lontana paternità...) un attuale in­
terlocutore delle contemporanee correnti «postmoderne». Sull’argomento si era
in particolare soffermato Tom Rockmore in un intervento sul fascicolo VII dei
«New Vico Studies». Da ormai «storico» recensore di questi, non avevo man­
cato di presentarne e discuterne ampiamente le tesi nel fascicolo XXIV-XXV di
questo «Bollettino» (si vedano le pp. 297-299). Pur apprezzando l’interesse del­
le domande teoriche ed ermeneutiche sollecitabili da una simile discussione, in
quelle pagine, oltre a segnalare la personale convinzione dell’assoluta distanza
della riflessione vichiana da visuali «antifondazionalistiche» e «postmoderne»,
tra l’altro mi sembrava di dovere richiamare sia l’opportunità di problematiz­
zare gli impieghi delle categorie di «fondazionalismo» e «antifondazionalismo»,
sia la difficoltà di dimostrare un «antifondazionalismo» vichiano già entro le de­
finizioni concettuali e tipologiche (a parte la loro persuasività) proposte da
Rockmore.
A conclusioni non dissimili perviene Esteve Morera, dopo avere ritenuto di
inoltrarsi in un lungo, serrato, analitico, confronto con le pagine di quel saggio
di Rockmore. «Gli atteggiamenti di Vico e il complessivo approccio filosofico
suo sono di gran lunga troppo lontani da quelli della massima parte delle figu­
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