RECENSIONI
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re della corrente postmoderna» (p. 49). E in effetti, proprio se si accettano «le
due condizioni poste da Rockmore per definire il fondazionalismo, cioè che i
principi fondazionali devono essere indubitabili e a priori, allora Vico certa­
mente non è un antifondazionalista» (p. 46). Basterà non considerare restritti­
vamente una conoscenza a priori nei termini di una che assolutamente
«è
indi-
pendente dall’esperienza, o la cui verità non dipende da quialsiasi dato empiri­
co» (p. 47), e quindi riflettere sui caratteri di universalità sia del principio del
«verum-factum» che del «senso comune». L’interesse odierno di Vico rispetto
a Descartes - conclude giudiziosamente Morera (con qualche tratto di ovvietà
che tutto sommato fa piacere vedere circolare) - non sta nell’essere collocato su
di un versante opposto al fondazionalismo di quegli, ma va reperito nel «valo­
re che Vico assegnò a forme di attività mentale ignorate o svalutate da Descar­
tes» (p. 48).
Su di un’indubbia marcata presenza di Vico nella letteratura novecentesca,
al centro da tempo di un non esiguo interesse critico, che mostra però necessità
di ulteriore approfondimento, reinterviene il successivo contributo di S. Sa-
MUELSON
Joyce’s
Finnegans Wake
andVico’sMentalDictionary
(pp. 53-66). L’A.
è appunto convinto che il lavorio critico finora condotto sulla presenza di Vico
in Joyce, e segnatamente in
Finnegans Wake,
risulti ancora insoddisfacente, per
incompletezza di indagini e vaghezza di risultati. In effetti «una presentazione
sistematica della relazione tra le due figure attende ancora di essere compiuta».
Di più, «il solo modo di cominciare a comprendere perché Joyce scrisse
Finne­
gans Wake
nel modo in cui lo fece deve essere dato attraverso la filosofia di Vi­
co». Infatti è «la libera combinazione della scienza di Vico con il linguaggio dei
sogni di Freud e gli archetipi di Jung a fornire la struttura generale del gioco lin­
guistico di Finnegans Wake» (pp. 53-54).
In particolare furono feconde per Joyce la concezione di Vico delle origina­
rie funzioni fondative del linguaggio affidate alle facoltà immaginative, e quin­
di le nozioni degli universali fantastici e del dizionario mentale comune, come
sostrato di tutte le lingue, a tutta l ’umanità; in uno con la sua vivida ricostru­
zione delle origini del linguaggio e delle istituzioni umane, che Samuelson ri­
tiene «mitica», «favolosa» (ma in effetti presentava piuttosto elementi di avvin­
cente narratività). Sulla scorta di ciò Joyce assunse «la filosofia di Vico come
struttura di
Finnegans Wake»
(p. 56), lavorando a rendere il «linguaggio fossi-
lizzato dei concetti» della nostra età un «terreno abbastanza ricco per riporta­
re in vita gli universali fantastici» (p. 55). Nello stesso tempo - consapevole del­
la visuale vichiana secondo la quale nei tempi della ragione la possibilità di re­
plicare il pensare mitico è pressocché impossibile - coniugò il ricorso agli uni­
versali fantastici con quello all’ironia, facendo di questa uno degli «inestricabi­
li componenti dell’intero suo linguaggio di universali fantastici». In tale quadro
«la connessione tra Freud, Jung e Vico è finalmente chiara» in Joyce. «Freud
delinea un tipo di pensare corporeo nei sogni che Joyce utilizza come la migliore
espressione del tipo di pensare fantastico che i primi uomini, secondo Vico, uti­
lizzarono per comprendere il mondo. Ma questo tipo di pensare fantastico, seb­
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