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RECENSIONI
bene basato sul corpo come Vico stesso capisce, nondimeno esprime il movi
mento archetipico di tutta la conoscenza umana, ciò che Jung concepisce come
l ’inconscio collettivo» (p. 63). Si tratta, come si può vedere, di un disegno non
poco ambizioso di una lettura appunto «sistematica» delle presenze di Vico,
Freud e Jung in Joyce: una lettura che - anche per evitare il possibile rischio di
risultare eccessivamente «sistematizzante» - richiede di essere corredata da un’a
nalisi minuziosa delle pagine della straordinaria opera joyciana, di cui per il mo
mento viene fornito soltanto qualche provvisorio, ma interessante, saggio.
Attorno al tema di un pensare corporeo, di un’espressività linguistica preri
flessiva che si dà in immagini concretissime veicolanti significati non disincar
nati, si muove pure - su tutt’altro terreno, peraltro inconsueto negli studi vi
chiani - il saggio di F. S.
CONNELLY,
Embodied Meaning: Giambattista Vico’s
Theory oflmages
(pp. 67-83). Il terreno è quello delle premesse epistemologi
che e delle conseguenti prospettive metodologiche nella considerazione delle
arti visive, in relazione al quale l’A. propone di individuare in Vico la fondazio
ne di una teoria delle immagini idonea ad istituire una comprensione delle for
me figurative alternativa alla linea fondativa della storia dell’arte impersonata
da Winckelmann. Tale linea, da ricondurre alle «tradizioni dell’idealismo tede
sco» (p. 68, ma anche 73,79), avrebbe visto mantenuta pressocché inalterata fi
no ad anni recenti la sua assoluta preminenza, per la forza di quelle tradizioni
(alle quali parrebbe assimilato lo stesso Winckelmann...), essendo stata messa
in discussione solo da un paio di decenni da alcuni studiosi (l’A. fa informato
riferimento in particolare a lavori di David Summers). Si tratta di una linea che
ha privilegiato, insieme con P‘analisi visiva’, il senso del vedere, la facoltà della
razionalità, T'argomento’ rispetto alT‘ornamento’ (nei termini di Riegl); insom
ma, con il riduttivismo di una ricerca essenzialista delle pure forme universali,
ha bandito o emarginato l’attenzione verso le proprietà fisiche, gli elementi ma
teriali, i dati corporei, dei fatti artistici (p. 68). Il metodo della storia dell’arte -
emblematicamente espresso nelle astraenti rappresentazioni verbali delle ope
re - si è affermato in uno con la «visualità della cultura moderna», con l’opzio
ne per la preminenza di uno sguardo contemplativo da parte di una modernità
che «alla purezza e all’universalità» (pp. 69-70) si è radicalmente data (anche
con le avanguardie storiche e neoavanguardie nate e succedutesi in stagioni che
hanno conosciuto la scoperta teorica del «mondo della vita»?). Solo di recente,
dunque, sostiene l’A., in prossimità di ciò che è stato definito come un «picto-
rial turn», si è cominciato a dare la dovuta rilevanza agli «aspetti antisemiotici
e illeggibili» dei materiali artistici, ad una complessità delle immagini irriduci
bile alle strategie, anche di tipo semiotico, adottate per analizzarle. In questa di
rezione di esplorazione del «significato incarnato», la Connelly propone un ‘mo
dello interpretativo’ fondato sull’opposizione tra «argument» e «ornament»
(pp. 72, 70): due categorie che dovrebbero rendere il contrasto tra l’astrattezza
della dimensione discorsiva che parla alla visualità mentale e viceversa la con
cretezza figurale della dimensione comunicativa che parla alle forme della cor
poreità, della memoria, dell’immaginazione.