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RECENSIONI
a risultare la matrice di una serie di gravi inconvenienti. Non pesano tanto, in­
fatti, sul lavoro presentato talune pur non irrilevanti pecche di inesattezza rile­
vabili nelle pagine introduttive di Grafton, puntualmente individuate (pp. 88-
90), quanto carenze costitutive nel lavoro di traduzione di Marsh che in larga mi­
sura derivano dall’adozione di quel criterio. A parte anche qualche inaccettabi­
le ‘libertà’ (come la distorcente aggiunta di «medieval» ai «returned barbarie ti­
mes»), è in gioco l’infondata quanto rischiosissima pretesa del traduttore di li­
berare il suo moderno lettore dal peso di provare a padroneggiare la «particola­
re terminologia», lo specifico lessico concettuale del suo autore. Verene ha buon
gioco a mostrare l’illegittimità di una simile pretesa, con la solidità di evidenti
argomenti generali di ordine teorico e soprattutto con puntuali disamine che pa­
lesano lo spessore della propria robusta consuetudine ermeneutica con l’opera
vichiana, nutrita della dovuta conoscenza con le tradizioni del linguaggio filo­
sofico occidentale. Egli mostra così esaurientemente le distorsioni di lettura a cui
conduce una resa impropria del lessico concettuale della
Scienza nuova
, peraltro
per lo più effettuata attraverso il superfluo abbandono di termini inglesi stretta-
mente affini a quelli italiani di Vico: ad esempio «myth» per «favola», «poetic
symbols» per «caratteri poetici» o «imaginative generai categories or archety-
pes» per «generi fantastici», o «symbols» per «geroglifici», «a new form of cri-
ticism» per «una nuova arte critica», «conceptual dictionary» per «dizionario
mentale», «anyone who studies my Science will retrace» per «chi medita questa
Scienza egli narri», «Jupiter», «Jewes» e «Pagans» per «Giove», «Ebrei» e «Gen­
tili», «barbarism of calculation» per «barbarie della riflessione»...
La conclusione di Verene è efficace. «Tradurre la prosa di Vico non è faci­
le. Tradurre la terminologia di Vico è facile. Comprendere la prosa di Vico e la
sua terminologia è difficile, come è difficile comprendere qualsiasi pensatore di
primo ordine nella storia del pensiero» (p. 106). Ciò che va evitato è di sottrar­
re la ricchezza di un pensiero al suo regime di produttiva «infamiliarità». Un
giudizio - da condividere in pieno - con il quale mi piace terminare questa pre­
sentazione dell’ultimo fascicolo dei «New Vico Studies».
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