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AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
inutile specificare che il genitivo è da inten
dersi come soggettivo), in parte dovuta alla
«molta familiarità con gli scrittori culti, da Al-
ciato a Budé a Zasio a Cuiacio a Connan a Bo-
din a Brisson a Sigonio» (p. 73), ossia con
quell’indirizzo filologico e storico della scien
za giuridica che per primo intuisce l’esem
plarità di Pomponio per la storia del diritto.
In particolare, il frammento pomponiano di
segna uno schema interpretativo che permet
te a Vico, fin dal
De ratione
, di ricostruire la
pluralità dei modi di produzione del diritto
romano senza ridurre il
ius
(fenomeno assai
stratificato) alla
lex
(atto di normazione mol
to più univoco perché emanazione della vo
lontà contingente di un legislatore) e senza
porre quest’ultima al vertice della gerarchia
delle fonti normative: «Vico ha potuto co
gliere l’intima autenticità del testo pompo
niano, che dà conto dello storico (e necessa
rio) intersecarsi di
imperium, lex, mores,
di sa
cerdoti e di magistrati
qui iura regere possint
e di giuristi, grazie ai quali il diritto
possit cot
tidie in mediumproduci»
(p. 75). E qui, nel
l’insistenza sulla piena consapevolezza di Vi
co della produzione magistratuale, dottrinale
e consuetudinaria del diritto romano classico,
mi pare sia ravvisabile il nocciolo della pro
posta interpretativa di Crifò: fare dell’uso vi
chiano di Pomponio un momento essenziale
della critica di
qyieWassolutismogiuridico
for
malistico e legalistico cui da vari anni Paolo
Grossi dedica fondamentali ricerche.
Conclude il saggio un riesame critico del
noto giudizio di Croce, espresso in
Teoria e
storia della storiografia,
secondo il quale gli
antichi non ebbero una storia del diritto né
altre «storie speciali», privi com’erano di una
storiografia metodologicamente consapevo
le, sorretta da una documentazione adegua
ta. Altrettanto estranea alla tradizione sto
riografica classica, per Croce, rimase la no
zione rigorosa di progresso, o meglio il sen
so dell’identità - gentiliana prima ancora che
crociana - di progresso e storia. In questa lu
ce, il pensiero storico antico si rivela una fon
te malsicura e inservibile che costringe Vico
ad attingere altrove, nelle trasfigurazioni
poetiche del passato, la «cruda realtà stori
ca». Si aggiunga, sullo sfondo, l’avversione
nutrita da Croce per la storiografia giuridica,
passata e soprattutto presente (la polemica
con il romanista Pietro Bonfante è del 1918-
’19, di tre anni successiva alla prima edizio
ne, in tedesco, di
Teoria e storia della storio
grafia),
e si ricaverà l’impressione, più che di
un limite di prospettiva, di un voluto e gene
rale misconoscimento.
A questa svalutazione crociana Crifò
obietta che Vico percepisce e recupera non
solo il frammento pomponiano ma l’intero
«discorso giuridico romano» (p. 77) come un
discorso al tempo stesso filosofico e filologi
co, anticipatore del nesso tra filologia e dirit
to così profondamente avvertito da Boeckh;
di qui l’impiego larghissimo della letteratura
giuridica nel
Diritto universale
e nella
Scienza
nuova,
ampiamente documentato da Crifò in
una lunga serie di puntualissimi sondaggi.
[G.Car.]
9.
C rifò
Giuliano,
Sviluppipossibili e ri
tardi ingiustificati. Qualche considerazione
sugli studi vichiani,
in
II mondo di Vico/Vico
nel mondo. In ricordo di Giorgio Tagliacozzo,
a cura di F. Ratto, Perugia, Guerra, 2000, pp.
29-37.
L’A. parte dall’«identificazione di storia
e diritto» (p. 29) come premessa valida non
soltanto in relazione all’esperienza giuridica
romana, ma complessivamente al fenomeno
giuridico
tout court.
A maggior ragione, an
che rispetto all’opera vichiana, solo a parti
re dagli strumenti del giurista è possibile
procedere ad una analisi del diritto. In par
ticolare, 0 tema sviluppato in questo saggio
è quello della
fictio,
attraverso cui si adatta
la formula processuale a un’ipotesi diversa
da quella a cui è destinata originariamente.
Crifò cita specifici passi vichiani su tale ar
gomento tratti dal
De ratione,
dalle
Institu
tiones oratoriae
e dalla
Scienza nuova 1744,
partendo «dal dato istituzionale, cioè giuri
dico, cioè romano, della
fictio»
(p. 32), e trae
conferma «della sicura fondazione romani
stica del pensiero vichiano» (p. 35). Per que
sti motivi, le conclusioni dell’A. sono im
prontate alla delusione per «fenomeni di
ignoranza e indifferenza» verso queste te