AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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no al «mondo delle nazioni» dopo la ribel
lione antiscolastica maturata sulla scorta di
Amauld e Cartesio.
Per Genovesi, dopo l’insegnamento uni
versitario impartitogli a Napoli da Nicola De
Martino anch’egli autore nel 1728 di un ma
nuale di logica, l’accostamento della
logique
di Port-Royal alla sillogistica aristotelica, già
comune nei primi decenni del Settecento, di
venta parte integrante di un ripensamento
complessivo della tradizione cartesiana alla
luce della ormai maturata convinzione della
necessità di un metodo d’insegnamento che
per essere veramente utile agli ‘giovinetti’
non può perdersi dietro i formalismi vecchi e
nuovi della logica aristotelica e arnauldiana.
[R. M.]
39.
SlNI
Stefania,
]aziki i znaki vfilosofa
Djambattista Viko
[Lingue e segni nel pen
siero di Vico], in «MetafiziEeskie Isseledo-
vania» (1999) 12, pp. 128-162.
L’A. offre una attenta esposizione e al
cuni spunti di riflessione sulla teoria lingui
stica vichiana a studiosi di un’area culturale
solo in parte coinvolti dalla
Vico-Renaissance
degli ultimi decenni. L’inevitabile andamen
to espositivo del lavoro non pregiudica, però,
il rigore scientifico delle tesi sostenute avva
lendosi l’A. della più avveduta critica sull’ar
gomento. L’A. rileva come sin dal
De ratione
si manifesta in Vico l’esigenza di opporre al
solitario, disincarnato
logos
cartesiano la pa
rola pubblica radicata nel mondo civile re
cuperata attraverso l’attribuzione
ali'inven
tio
di un proprio statuto epistemologico ga
rante della possibilità stessa di una cono
scenza razionale del verosimile bandito dal
Cartesio in quanto dominio dell’incerto. In
fatti, sottolinea l’A., nella
Scienza nuova
Vico
ribadisce la priorità della topica sulla critica
e indica nel nesso memoria-fantasia-ingegno
nuovi percorsi della retorica in grado di ri
velare 1’ originarietà delle pratiche simboli
che nell’attribuzione di senso alla natura
poietico-eidetica del linguaggio.
[R. M.]
40.
T e ssito re
Fulvio,
Cuoco lungo due
secoli,
in «Archivio di storia della cultura»
XIII (2000), pp. 53-74.
È il testo della relazione inaugurale letta
al Convegno su Cuoco, svoltosi a Campo
basso nel gennaio del 2000. In efficace sinte
si, l’A. indaga sulla ‘fortuna’ e ‘sfortuna’ del
molisano, partendo dal richiamo al senso del
la «presenza» di Vico, il suo maggiore auto
re, proposto (nel secondo abbozzo della pro
gettata lettera al De Gérando del 1804 e nel
Rapporto
del 1809 a Murat) quale oscuro
«precorritore» dei tempi futuri, ma disposto
a smentirne l’isolamento soprattutto per le
relazioni con temi e protagonisti del riformi
smo settecentesco napoletano. A Genovesi e
a Galanti, lettori di Vico, riportano, infatti, i
princìpi fondamentali dell’interpretazione
cuochiana della rivoluzione napoletana che
l’A. opportunamente sottolinea, sofferman
dosi sulla definizione di
rivoluzione passiva
e
sulla teoria dei
duepopoli,
«applicazione del
la ‘filosofia tutte di cose’» di matrice geno-
vesiana (pp. 55-56). El’intreccio di queste te
si si colloca nel pensiero politico italiano tra
Ottocento e Novecento, toccando il Manzo
ni del primo
Adelchi
e del
Discorso su alcuni
punti della storia longobardica in Italia
(pp.
57-59), nonché il «tirocinio mazziniano sul
‘Giornale italiano’» (p. 59) e, soprattutto,
Carlo Pisacane, lettore cuochiano (nei
Saggi
storici, politici-militari)
del Vico e della «dia
lettica bisogni-forze» (p. 60) che, nella ver
sione pedagogica di educazione politica del
popolo
cuochianamente inteso, si proporrà
nella «desanctisiana filosofia del costume»
(p. 63). Un modello, questo dello storico ir-
pino, ripreso parzialmente dalle pagine con
vergenti, più spesso, divergenti di Croce e
Gentile su Cuoco. L’esame del primo parte
dalle tesi giovanili degli
Studi sulla Rivolu
zione Napoletana del 1799
e della
Prefazione
alla seconda edizione
del 1896, per cogliere le
origini di un «nuovo lavoro» sulla storia non
municipale ma nazionale, non solo politica
ma
etico-politica,
raggiunta nella grande
Sto
ria di Napoli
e nella
Storia della storiografia
italiana nel secolo XIX
(pp. 67-68). Qui, alla
tesi di un Vico solitario ed incompreso, al
giudizio sull’astrattezza dell’illuminismo an