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MANUELA SANNA
ai Proci costituisce i connubi plebei e genera Pan, mostro di natura uma
na e bestiale, «
secum ipse discors»
«qual dicevano i patrizi romani a’ ple
bei che nascerebbe chiunque fosse provenuto da essi plebei, communi
cati lor i connubi de’ nobili, somigliante a Pane, mostro di due discor
danti nature, che partorì Penelope prostituita a’ plebei»62. Così da Pasi-
fe e dal toro si genera il Minotauro, che spiega i connubi dei cretesi con
gli stranieri. Ancora Io, di cui s’innamora Giove, che si tramuta in vac
ca. Il tema del
secum ipsa discors
rappresentato da Pan diventa quello
dell’assemblamento di una duplice natura, quella di bestia e di uomo, di
divinità e di creatura, di patrizio e plebeo: il mostro
è
già qualcosa in più
rispetto alla bestia, ma pur essendo cosa rara non
è
un capriccio della na
tura, quanto un indispensabile passaggio alla città, al matrimonio solen
ne. Non a caso il tema del mostro
è
legato ad un principio di trasforma
zione, di trasmutazione di natura attraverso un rapido passaggio per il
bestiale. Il carattere di Proteo, che rappresenta il cambiamento di natu
ra continuo e incessante, l’assenza d’identità, si rivela a Vico come una
difficoltà insita nel meccanismo di queste tre «bellissime facultà» che
provengono all’uomo dal corpo di vedere esattamente le cose per quel
lo che sono: Ulisse non lotta contro un mostro di innumerevoli fattezze,
bensì contro qualcosa che i riflessi dell’acqua rivelano cangiante.
Senza la figura del mostro non verrebbe teorizzata quella dell’eroe e
il
novum
che emerge con la descrizione del
monstrum
è
frutto di un’ap
plicazione d’ingegno sulla quale la fantasia esercita una trasfigurazione
inventiva che comunque risente del ritrovamento di immagini perdute e
sedimentate. Il riso opera un inganno ai danni di una corretta percezio
ne del reale e la rappresentazione di questa fallace operazione nel carat
tere del Satiro, di Pan, di una creatura di natura doppia e quindi di du
plice identità dimostra la necessità di reperire un’origine certa, di una
inequivocabilità di
generatio
attraverso il lungo cammino dell
'invenire.
E l’appello alla capacità di sintesi che l’ingegno non può ancora opera
re, ma solo grazie al cui contributo s’ipotizza il passaggio, la trasforma
zione nel nuovo. E quest’esigenza
è
del piano retorico, come di quello
cognitivo come anche di quello politico.
Si potrebbe concludere ricordando un breve e sintetico passo vi
chiano contenuto nella prima delle
Orazioni inaugurali
, laddove Vico di
ce che «la natura ci ha creati per la verità, l’ingegno ci guida, la meravi
glia ci fa fermare»63:
veritas, ingenium, admiratio
vengono a formare la
caratteristica peculiare della natura umana nel cammino indicato in que
62 Ediz. Battistini, cit., p. 743.
63
Or. I,
p. 91.