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ALESSANRO STILE
se le lodi nella poesia dedicata ad Angela Cimmino3. Ma la città brulica
di predicatori, molti dei quali più interpreti del malessere dei fedeli che
apportatori di autentica spiritualità: nell
'Autobiografia
Vico definisce il
gesuita Lubrano «d’infinita erudizione e credito a que’ tempi dell’elo
quenza sacra quasi da per tutto corrotta»4. Di fronte a «un chiaro disva
lore per la società, quasiché non potesse esistere una cristiana società po
litica»5, il fedele cerca riparo o in una spiritualità estroversa, fatta di cul
ti ai limiti del paganesimo6, o in una introversione che gli consenta di cer
care senza inutili mediazioni il contatto con il divino.
La contemplazione è l’atteggiamento che più di ogni altro sembra
esprimere l’amore di Dio; se la grande spiritualità salesiana lo esalta co
me «attenzione contemplativa» che richiama un amore «che alla fine vie
ne coronato di perfezioni, quando cioè giunge a godere quello che ama»7,
nelle forme più estreme della mistica viene ad essere affermazione di as
soluta passività e negazione di sé; la rumorosità dei culti, delle risonanti
e seducenti parole di predicatori, lascia il posto a una condizione in cui
l’anima «deve dimenticare tutte le creature e anche se stessa» per «giun
gere a questa somma felicità dell’interiore solitudine»8.
Non è un caso che Vico si soffermi per la prima volta in modo pre
gnante sul concetto di contemplazione nel
De constantia iurisprudentis
-
e in particolare nella sua prima parte, il
De constantia philosophiae
-
nell’opera, cioè, che intende offrire il primo disegno di una nuova scien
za, a partire dalla sua terminologia filosofica. Nel momento in cui Vico
definisce la contemplazione, considera già sostanzialmente conclusa la
sua funzione originaria: l ’etimologia viene «dal vocabolo augurale ‘tem
pli del cielo’, cioè le regioni celesti cui gli auguri si rivolgevano prima
di captare l’augurio»9; ma quei luoghi celesti sono riservati esclusiva
3 G. Vico,
In morte di donriAngela Cimmino marchesa della PetreIla,
in Id.,
Scritti vari e
pagine sparse,
a cura di F. Nicolini, Bari, 1940, p. 157; ora anche in Id.,
Opere,
2 voli., a cura
di A. Battistini, Milano, 1990, voi. I, p. 343.
4 Id.,
Vita di Giambattista Vico scritta da sé medesimo,
in Id.,
Opere filosofiche,
a cura di
P. Cristofolini, Firenze, 1971, p. 9.
5 P
etrocchi
,
op. cit.,
p. 123.
6 Romeo de Maio fa riferimento ai «banchetti sacri organizzati nelle chiese dei conventi
e più o meno efficacemente proibiti dalla curia diocesana e specialmente dal Caracciolo [ve
scovo a Napoli dal 1667 al 1685]; o le galanti attenzioni rivolte alle dame, con il favore delle
celebrazioni liturgiche, da giovani aristocratici, con conseguenti esplosioni di vendette» (R.
DE M
aio
,
Religiosità a Napoli. 1656-1799,
Napoli, 1997, p. 137).
7 F.
DI SALES,
Il Teotimo, ossia Trattato dell’amor di Dio,
tr. it. Torino, 1966, p. 518.
8 M. DE MOLINOS,
Guida spirituale,
tr. it. Torino, 1935, p. 211.
9 G. VICO,
De universi iuris uno principio etfine uno,
liber alter, pars prior,
De constantia
philosophiae
(d’ora in avanti indicata con
De const. philos.),
cap. IV; Vico riproporrà molte
volte questa definizione fino alla
Scienza nuova 1744,
dove, riferendosi ai
tempia coeli,
ag-