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ALESSANRO STILE
Se Adamo non avesse peccato (quell’Adamo solo al quale, nel suo stato
d’integrità, appartenne la vera sapienza umana) noi saremmo vissuti uniti a
Dio con mente pura e, contemplando Dio, non avremmo mai udito i torbi
di richiami della cupidigia; avremmo dunque condotto non solo una vita in
tegra, ma anche beata13.
Ma ciò non è accaduto; e la contemplazione diventa lo sguardo che
si distoglie dall’immagine unica da cui l’uomo traeva la beatitudine, per
cercare invece ciò che è mutevole:
In conseguenza del peccato originale contratto per la caduta di Adamo
nostro primo padre, il genere umano dalla pura contemplazione dell’eterno
vero con mente pura venne indotto per l’ingannevole giudizio dei sensi, a
bramare le cose caduche e fuggenti14.
Nel prendere atto di questo, Vico dichiara implicitamente di sposta
re la sua attenzione sulla nuova condizione umana. Nel proporre tre ipo
tesi formulate rispettivamente da Polibio («Se tutti gli uomini fossero sa
pienti, religioni e leggi non servirebbero»), da Temistocle («Se gli uomi
ni osservassero la giustizia, non ci sarebbe bisogno di far ricorso alla for
za») e da Aristotele («Se il genere umano coltivasse l’amicizia, la quale
esige che tutte le cose siano comuni a tutti, non avremmo bisogno della
giustizia, e perciò amaggior ragione delle leggi e dello stato»), commenta:
«i voti espressi da questi uomini sapienti non sono che congetture rife
rite alla natura umana integra creata da Dio»15. La
congettura
sarà d’ora
in poi ciò che si contrappone, con i suoi contenuti utopici irrealizzabili,
alla realtà fattuale imprescindibile.
Vico si era soffermato più volte sull’immagine dell’«incorrotta natu
ra umana», arricchendola di sempre nuovi contenuti; nel
De uno
la de
scrive «equilibrata a tal punto, da non essere turbata da alcun tumulto
dei sensi, e da esercitare una libera e pacata signoria sui sensi e gli appe
titi»16. In questo equilibrio era possibile cogliere l’armonia tra ragione,
volontà e potenza: la ragione «era la stessa natura umana nel suo equili
brio»; la volontà «era incorrotta libertà della retta natura»; la potenza
«era la naturalezza di quella stessa natura integra»17. Vico esplicita ulte
riormente questa relazione:
se l’uomo fosse rimasto in quello stato, avrebbe condotto l’intera vita in mo
13
De const. philos.,
cap. IV.
14
De uno
, cap. XXXI.
15
De const. philos.,
cap. IV.
16
De uno
, cap. XIV.
17
Ibid.,
cap. XV.