I LUOGHI DELLA CONTEMPLAZIONE
35
delle membra’» 40. Alla base della virtù vi è dunque tensione: lo sforzo
per annullare questa tensione, avverte Vico, è del tutto vano, non è che
una delle tante «congetture»: « l’apatia, o assenza di passioni, se non è
essa pure una congettura sull’uomo integro come doveva essere stato
creato da Dio (...), non è che un vana aspirazione della fragilità uma
na»41. Non solo: ma Vico, in un paragrafo delle
Dissertationes
(«Il cir
colo divino»), fa propria la posizione filosofica cristiana (la «metafisica
cristiana») per svelare il forte legame con i sensi che si cela dietro quel
la contemplazione che è propria degli uomini
dopo
il peccato:
Tutto l’universo delle cose divine ed umane fu fatto in modo tale che i
primi uomini, con la contemplazione, che esercita la mente ai sensi, ritene
vano ogni cosa fosse Dio: seguendo la metafisica cristiana, che allontana la
mente dai sensi, e che è del tutto contraria alla contemplazione, compren
dono che Dio è in ogni cosa «eminentemente», secondo l’espressione dei
teologi42.
Vico è pronto ad affrontare il problema di un’etica che definisca il
filosofo cristiano, o meglio, il filosofo che è tale
in quanto
cristiano, nel
momento in cui ha sottratto al peso della «milizia» il fantasma irrag
giungibile della condizione originaria. Nel descrivere il rapporto tra la
«vita contemplativa» e la «vita pratica», Vico riassume la posizione di
Aristotele, il quale
definisce beatissima la vita che è vissuta nella sua totalità nell’intimo del
l’uomo; che è completamente serena, perenne in assoluto e sempre presente;
che non può essere turbata come avviene all’attività dei sensi; che non viene
procurata dall’esternomediante i sensi; che ci rende fermamente consapevoli
di noi stessi e senza perplessità, come avviene invece nell’agire dei sensi; che
ha bisogno del corpo in misuraminima e che infine, unisce l’uomo aDio. Per
tutto questo, chiama ‘divina’ la vita contemplativa dell’uomo43.
Aristotele, continua Vico, ha nondimeno assegnato un «fine sommo»
alla vita pratica,
l’operare accompagnato da virtù (...) conosciuto da noi per la testimo
nianza dei sensi (ragione questa che egli propone per il piacere che traiamo
dalla sensibilità), che ha bisogno del corpo, della facoltà di sentire e perfino
della buona sorte: infatti la prudenza ha bisogno dell’acutezza dei sensi, la
40
lbid.,
cap. Vili.
41
lbid.,
cap. XIII.
42 Id.,
Dissertationes,
cap. XIV, capov. IV.
43
De const. philos.,
cap. XV.