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MONICA RICCIO
Nella ‘naturalità’ della traduzione politica del diritto delle genti uma
ne, repubblica popolare e monarchia sembrano equivalersi, e tuttavia - lo
si vede in modo più disteso nella
Scienza nuova 1744 -
esse non si equi
valgono affatto. Non v’è dubbio che all’ «ugualità» di ragione e di diritto
tra tutti gli uomini sia più immediatamente congeniale la forma democra
tica di governo; è qui che agisce pienamente l’autentica riflessione collet
tiva, aperta e generosa, legata ai fatti e non alle parole9. Perché allora la
proposta, sulle prime apparentemente indifferente, di democrazia
o
mo
narchia10- «ch’entrambe sono governi umani»11? Perché la loro sovrap
posizione, comunque evocativa di una contrazione, nel terzo momento del
corso delle nazioni? Che la monarchia non sia, neppure a livello di svi
luppo, analoga alla democrazia, risulta chiaramente, prima ancora di esa
minare la sua specifica caratterizzazione, dal fatto che in essa le nazioni «ri
posano», si «conservano»12, con un arresto evidente del processo ascen
dente. Tant’è vero che essa è citata come uno dei rimedi provvidenziali, il
più semplice, e forse il migliore, alla dissoluzione delle nazioni stesse13.
Nella stessa
Scienza nuova 1744
- dove per certi versi, come si è visto,
giunge a piena esplicitazione il carattere progressivo dell’equità naturale
- rimane la traccia dissonante di un sospetto, quello della sopravvivenza
di pratiche prudenziali, dunque proprie dei tempi eroici, nei governi
umani. Ad esempio la «terza spezie di autorità», quella «umana», è «ri
posta nel credito di persone sperimentate, di singoiar prudenza nell’agi-
bili e di sublime sapienza nell’intellegibili cose»14. La moltitudine è ca
pace della «sola» equità naturale, perché «considera gli ultimi a sé ap
partenenti motivi del giusto, che meritano le cause nell’individuali loro
spezie de’ fatti»15. Si direbbe che qui, come nel
De ratione
, il volgo, la
moltitudine, «non vede se non ciò che ha innanzi ai piedi e non intende
se non cose particolari», e dunque, come nel
De ratione
, essa ignora l’e
quità civile, che non è «cosa evidente e particolare», ma che, ispirando
si al bene comune piuttosto che all’utilità privata, va tenacemente con
servata - proprio nella sua segretezza prudenziale16. Nonostante manchi
completamente, nel
De ratione,
il senso progressivo dell’equità naturale,
la tentazione di sovrapporre le sue argomentazioni a quelle più tarde del
9 Cfr.
ibid.,
cap. LII, p. 1080.
10 Cfr.
Sn
44, «Tre spezie di governi», capov. 927; «Tre spezie di ragioni», capov. 951.
11
Ibid.,
capov. 940.
12
Ibid.,
capov. 1008.
13 Cfr.
ibid.,
capov. 1104.
14
Ibid.
, capov. 942.
15
Ibid.,
capov. 951.
16Cfr. G. B. Vico,
De nostri temporis studiorum ratione,
in
Opere,
cit., voi. I, pp. 188-189.