L’xIDEA DELL’OPERA» DI G. VICO
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Un invito all’intelligenza che non nega l’estrema problematicità erme­
neutica e le sfumature colte da indagini legate a visioni più ampie, libe­
re dai tradizionali steccati disciplinari e metodologici sulla scia delle ri­
cerche avviate sin dagli anni Trenta del nostro secolo da Male o da Pa-
nofsky.
La fiducia di Vico nella possibilità dell’illustrazione di contenere, sia
pure simbolicamente, l’intera
Scienza nuova
, ci introduce verso temati­
che proprie dell’estetica barocca con un legame istituito, in altra forma,
anche al tempo della stesura del
Diritto universale,
allorquando Vico sen­
te il bisogno di presentare alcuni dei contenuti filosofici dell’opera nel
lungo componimento poetico-filosofico -
Giunone in danza -
difficil­
mente apprezzabile nel contesto dell’evoluzione intellettuale di Vico sen­
za la conoscenza delle sue opere giuridiche. Anche per la «Dipintura» la
rappresentazione di contenuti filosofici in forme apparentemente di­
stanti e non immediatamente riconducibili alla razionalità del discorso è
caratteristica dell’aspirazione di Vico a sperimentare molteplici forme di
comunicazione nel rapporto incrociato con la «capricciosa acconcezza»
dell’ ingegnoso pittore e con l’esecutore materiale dell’incisione, non di
meno coinvolto nella ‘traduzione’ in immagini delle idee del filosofo5.
Va inoltre segnalato che
Videa,
non diversamente dal restante dell’o­
pera ha subito correzioni, miglioramenti ed aggiunte tra l’edizione del
’30 e quella del ’44 come anche è da notare la soppressione di ben quat­
tro pagine a fine testo6.
Per molti lettori di oggi la
Scienza nuova
si apre con un manzoniano
dilemma: Cebete chi era costui? Platone lo menziona nel
Critone
e nel
Fedone
tra quanti furono vicini a Socrate nelle ultime ore di vita e che
con il filosofo discute sulla preesistenza dell’anima e della sua immorta­
lità. Diogene Laerzio ricorda nelle
Vite deifilosofi1
che di lui si traman­
darono tre dialoghi uno dei quali è quel
Pinax
citato da Vico. L’opera in
epoca moderna era stata più volte ristampata, anche se in realtà si trat­
tava di un falso composto nel I secolo, e la versione italiana, edita a Ve­
nezia nel 1643 da Agostino Moscardi, potrebbe essere la fonte più im­
mediata della suggestione di Vico. In questa operetta si narra di un uo­
mo imitatore della vita pitagorica che consacra nel tempio di Kronos un
dipinto con rappresentazioni allegoriche dei costumi morali. Ovviamen­
te non erano mancati critici che avevano negato la presunta paternità di
Cebete tebano del testo tramandato; ma ciò che attrae Vico non è tanto
5 Capov. 24.
6 Riportate dall’edizione nicoliniana ai capow. 1120-1138.
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Lib. II, cap. XVI.
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