L’xIDEA DELL’OPERA» DI G. VICO
55
Un invito all’intelligenza che non nega l’estrema problematicità erme
neutica e le sfumature colte da indagini legate a visioni più ampie, libe
re dai tradizionali steccati disciplinari e metodologici sulla scia delle ri
cerche avviate sin dagli anni Trenta del nostro secolo da Male o da Pa-
nofsky.
La fiducia di Vico nella possibilità dell’illustrazione di contenere, sia
pure simbolicamente, l’intera
Scienza nuova
, ci introduce verso temati
che proprie dell’estetica barocca con un legame istituito, in altra forma,
anche al tempo della stesura del
Diritto universale,
allorquando Vico sen
te il bisogno di presentare alcuni dei contenuti filosofici dell’opera nel
lungo componimento poetico-filosofico -
Giunone in danza -
difficil
mente apprezzabile nel contesto dell’evoluzione intellettuale di Vico sen
za la conoscenza delle sue opere giuridiche. Anche per la «Dipintura» la
rappresentazione di contenuti filosofici in forme apparentemente di
stanti e non immediatamente riconducibili alla razionalità del discorso è
caratteristica dell’aspirazione di Vico a sperimentare molteplici forme di
comunicazione nel rapporto incrociato con la «capricciosa acconcezza»
dell’ ingegnoso pittore e con l’esecutore materiale dell’incisione, non di
meno coinvolto nella ‘traduzione’ in immagini delle idee del filosofo5.
Va inoltre segnalato che
Videa,
non diversamente dal restante dell’o
pera ha subito correzioni, miglioramenti ed aggiunte tra l’edizione del
’30 e quella del ’44 come anche è da notare la soppressione di ben quat
tro pagine a fine testo6.
Per molti lettori di oggi la
Scienza nuova
si apre con un manzoniano
dilemma: Cebete chi era costui? Platone lo menziona nel
Critone
e nel
Fedone
tra quanti furono vicini a Socrate nelle ultime ore di vita e che
con il filosofo discute sulla preesistenza dell’anima e della sua immorta
lità. Diogene Laerzio ricorda nelle
Vite deifilosofi1
che di lui si traman
darono tre dialoghi uno dei quali è quel
Pinax
citato da Vico. L’opera in
epoca moderna era stata più volte ristampata, anche se in realtà si trat
tava di un falso composto nel I secolo, e la versione italiana, edita a Ve
nezia nel 1643 da Agostino Moscardi, potrebbe essere la fonte più im
mediata della suggestione di Vico. In questa operetta si narra di un uo
mo imitatore della vita pitagorica che consacra nel tempio di Kronos un
dipinto con rappresentazioni allegoriche dei costumi morali. Ovviamen
te non erano mancati critici che avevano negato la presunta paternità di
Cebete tebano del testo tramandato; ma ciò che attrae Vico non è tanto
5 Capov. 24.
6 Riportate dall’edizione nicoliniana ai capow. 1120-1138.
1
Lib. II, cap. XVI.