L’«IDEA DELL’OPERA» DI G. VICO
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delle possibili implicazioni materialistiche del dualismo cartesiano era
obiettivo costante delle polemiche non soltanto dei circoli più retrivi del­
la cultura laica e religiosa europea, bensì patrimonio comune di ampi set­
tori del mondo scientifico e filosofico per nulla disposti a rinunciare al­
l ’ideale del «virtuoso cristiano».
Il
secondo nucleo tematico su cui richiamare l’attenzione, meno di­
stante dal discorso precedente di quanto possa apparire, è di natura me­
todologica e riguarda la «nuova arte critica» che a parere di Vico «finora
ha mancato»11. Non dimentichiamo che ai piedi dell’altare che sorregge il
globo, sul quale è in bilico la metafisica, giacciono i «geroglifici» della ci­
viltà. La metafisica è illuminata dalla luce divina
totalmente
riflessa dal
gioiello convesso verso la statua di Omero. La raffigurazione, spiega Vico,
dinota che la cognizione di Dio non termini in essolei, perch’ella privata-
mente s’illumini dell’intellettuali, e quindi regoli le sue sole morali cose, sic­
come finor han fatto i filosofi; lo qual si sarebbe significato con un gioiello
piano. Ma convesso, ove il raggio si rifrange e risparge al di fuori, perché la
metafisica conosce Dio provvedente nelle cosemorali pubbliche, o sia ne’ co­
stumi civili, co’ quali sono provenute al mondo e si conservan le nazioni12.
L’immediata contemplazione della verità eterna non si spingerebbe al di
là di una solitaria filosofia morale e la metafìsica per garantire la veridicità
dei suoi principi, senza contrastare il valore veritativo del «senso comune»,
deve necessariamente avvalersi della mediazione della storia. Si tratta per
Vico di garantire all’«accertamento» filologico (
certum
) una funzione ana­
loga alT«inveramento» filosofico (
verum
) raggiunto con la dimostrazione
di «fatto storico» della provvidenza nel «corso che fanno le nazioni».
Scrive Vico in un passo del
Diritto universale
che potrebbe benissi­
mo trovarsi nell’autobiografia
Io
che nell’arco della mia intera esistenza ho tratto maggior diletto dal­
l’uso della ragione che da quello della memoria, quanto più ho imparato
nella filologia tanto più m’è parso di ignorare. Non temerariamente Rena­
to Cartesio e Malebrance affermavano che non s’addice al filosofo dedicarsi
per molto tempo e approfonditamente alla filologia13.
Queste parole, accanto ad una onestissima giustificazione delle ra­
gioni degli avversari, schizzano un quadro abbastanza fedele della si­
11 Capov. 9. Vedi A.
R. CAPONIGRI,
Filosofia efilologia: la «nuova arte critica» di Giam­
battista Vico,
in questo «Bollettino» XII-XIII (1982-1983), pp. 29-61.
12 Capov. 5.
13 G.
Vico,
Opere giuridiche,
a cura di
P.
Cristofolini, Firenze, 1974, p. 399.
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