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ANDREA ATZENI
te, alla distinzione tra
verum
e
certum
esposta nel
Liber.
Tuttavia il
De
uno -
ovvero l ’opera nella quale sono per la prima volta espressamente
tematizzate le categorie dell
'auctoritas
e del
certum
nei loro rapporti con
la
ratio
ed il
verum
- è ignorato in questo capitolo e degnato, anche nei
successivi, di scarsissimi riferimenti espliciti e di un giudizio estrema-
mente negativo. Il rigetto del
De uno
(come di gran parte del
Liber me-
taphysicus)
è esplicitamente dovuto alla svalutazione dei presupposti me
tafisici vichiani, scambiati per residuali ossequi alla tradizione11. Anche
nella
Scienza nuova
i rapporti istituiti da Vico tra certo e vero, tra filoso
fia e filologia sono considerati confusionari12, l ’ideale scientifico di Vico
sarebbe sospeso ambiguamente tra filosofia speculativa e scienza (socia
le) empirica13, e sarebbe la vera fonte della sua oscurità14:
La confusione dell’elemento filosofico e dell’empirico si può dire mani
festa nella «dignità» che definisce la natura delle cose: «Natura di cose altro
non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sem
pre che sono tali, indi tali e non altre nascono le cose»; dove appaiono mes
si insieme le guise e i tempi, la genesi ideale e la genesi empirica15.
Ma il termine di paragone è ovviamente la stessa filosofia crociana.
Al proposito è interessante soffermarsi sul passo del
Liber
surretizia-
mente adoperato da Croce:
Epermangono tracce, che gli antichi filosofi dell’Italia siano stati di que
sto stesso avviso: poiché
certum
significa due cose, ciò che è conosciuto e
in
voce.
dalla legge delle XII Tavole; onde restaron ‘autori’ detti in civil ragione romana coloro
da’ quali abbiamo cagion di dominio, che tanto certamente viene da
(
x u t c x
;,
‘proprius’
o
‘suus
ipsius'
, che molti eruditi scrivono
‘autor
e
‘autoritas’
non aspirati».
11 Già nel secondo capitolo, Croce sottolinea il legame di Vico con la «gnoseologia e me
tafisica platonico-cristiana» (C
roce
,
op. cit.,
p. 28). Per il
De uno
si veda in particolare il cap.
V ili, dove sono i riferimenti più numerosi e sistematici ed il seguente giudizio: «Dopo che
tanto lume di originalità è rifulso ai nostri occhi, non ci riesce possibile fermare lo sguardo su
quelle dottrine e classificazioni etiche che il Vico attinse alla filosofia tradizionale e mise so
prattutto nel primo libro del
Diritto universale» (ibid.,
p. 92).
12 «La filologia è da ridurre a scienza: ecco il pensiero del Vico circa i rapporti del certo
col vero, della filologia con la filosofia. Che cosa vuol dire ridurre la filologia, o la storia, che
è lo stesso, a scienza o a filosofia? A rigore, la riduzione non è possibile, non perché si tratti
di cose eterogenee, ma anzi perché quelle sono omogenee: la storia è già intrinsecamente fi
losofia; non è possibile profferire la più piccola proposizione storica senza plasmarla col pen
siero, cioè, con la filosofia»
(ibid.,
p. 38).
13
Ibid.,
pp. 38-39.
14 «La poca chiarezza circa il rapporto di filosofia e filologia, l’indistinzione dei due mo
di affatto diversi di concepire la riduzione della filologia a scienza, sono conseguenza e ca
gione insieme dell’oscurità che regna nella ‘Scienza nuova’»
(ibid.,
p. 41).
15
Ibid.,
p. 45,