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SABINE MARIENBERG
sono rintracciabili risultati persistenti, analizzabili come i prodotti del
processo culturale nella
Scienza nuova.
Questo stato delle cose si spiega anche prendendo in considerazione
le posizioni contemporanee a cui i due autori si oppongono: mentre Vi­
co si contrappone in prima linea al mito di una razionalità di impronta
cartesiana, ovvero a una razionalità indipendente dai sensi e dalla storia,
Hamann è critico nei confronti della concezione kantiana del ‘soggetto
universale’, opponendovi l ’uomo singolare ed empirico nei suoi pecu­
liari contesti concreti. La convinzione hamanniana che ogni cognizione
sia legata al dialogo incessante toglie validità alla capacità della ragione
di fondare se stessa postulata da Kant, perché in una relazione intersog­
gettiva dialogica l ’incertezza rispetto al significato identico delle parole
usate non si dissolve solo ricorrendo alla ragione. La relazione dialogica
con se stessi esclude infine anche la possibilità di autoriferirsi ad un io
come unità identica della conoscenza7. Per la ragione diventa impossi­
bile concepire coerentemente i propri limiti e le proprie possibilità sol­
tanto sulla base di un confronto con se stessa.
Anche se il linguaggio filosofico di Hamann - concepito come tra­
duzione di secondo grado di immagini di un mondo impercepibile nel­
la sua totalità - non può esprimere i suoi contenuti obiettivamente, può
comunque rappresentare il fatto stesso che l ’accesso al mondo, inevita­
bilmente frammentario, deve essere sempre nuovamente riacquistato.
Ciò è realizzabile attraverso l ’uso di uno stile, a sua volta caratterizzato
da frammentazioni e ricomposizioni, che si sottrae continuamente ad una
unitaria sistematicità e che, come esemplificazione dell’awicinamento
poetico al mondo, si appella non tanto alla facoltà razionale quanto so­
prattutto a quella estetica. In una tale «filosofia poetica» la cognizione
estetica non solo viene posta all’origine speculativa della storia delle na­
zioni - come fa Vico riguardo all’agire rituale e rappresentativo della se­
miosi prelinguistica delle prime due età - ma concepita come radice on­
nipresente della conoscenza in generale, come l’inizio sempre rinnovato
del dialogo col mondo e con se stessi.
In un altro contesto, già Raffaele Ajello ha osservato che a Vico sem­
bra interessare più il
factum
che il
facere*.
Mentre il filosofo napoletano
indaga il processo creativo dal punto di vista semiotico, Hamann ne ac­
centua la prassi, considerandola sotto l ’aspetto pragmatico. A ciò corri­
7 Cfr. S.
MAJETSCHAK,
Metakritik und Sprache: zu Johann Georg Hamanns Kant-Ver-
stàndnis undseinen metakritischen Implikationen,
in
«Kant-Studien»
1980, pp. 447-471.
8 R.
A
jello
,
Dal «facere» al
«
factum
».
Sui rapporti tra Vico e il suo tempo con una replica
a G. Giarrizzo e F. Bologna
, in questo «Bollettino» XXII-XXIII (1982-1983), pp. 343-359.
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