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ALESSIA SCOGNAMIGLIO
rienza umana, ma articola, altresì, l ’unità della mente con la continua cor­
rispondenza di queste tre forme originarie, esattamente come per la sfe­
ra ontologica30. La perfezione della quale l’uomo si avvale gli viene dal­
la ragione, intesa - a sua volta - non solo come momento dello spirito
che prevale su ogni altro e in particolare sulla volontà, ma anche come
l’unico strumento tramite il quale l ’uomo, dominando le sue passioni,
riesce a raggiungere la verità. Poiché l ’ordine - come si è già detto - è te­
stimonianza dell’eterno vero, ne consegue che conoscere e amare la ve­
rità equivale, per l’uomo, a conoscere e amare Dio. Si rifletta che
Yordo,
in relazione alla sfera creaturale e transeunte, funge quale mediazione tra
le verità eterne e la mente finita e diviene, pertanto, l ’unica condizione
indiretta concessa agli uomini per avere visione se non proprio di Dio,
almeno della sua luce31, ma anche perfetto equilibrio donato da Dio agli
uomini nell’atto della creazione:
Dunque nell’uomo incorrotto, la ragione, mercé la divina assistenza era
la stessa umana natura armoniosamente ordinata; la volontà era incorrotta
libertà della retta natura; la possanza era la facile e non contrastante obbe­
dienza di quella natura32.
Nella natura antecedente la caduta, ancora integra, la conoscenza è
conoscenza dell’ordine eterno delle cose, la volontà è conformazione a
esso33. E proprio grazie alla conoscenza, così intesa, che gli uomini pos­
sono comunicare gli uni con gli altri e realizzare un vivere sociale, una
società che sia tale in virtù dell’idea stessa che la trascende, che è appunto
quella di uno scambio di verità e di ragione. Gli uomini per vivere in so­
cietà necessitano naturalmente di utilità e cioè di tutto quanto può esse­
re dedotto dalle cose finite, di quelT'utile’ indispensabile per prowede-
30 Cfr. a riguardo il fondamentale studio di G.
CAPOGRASSI,
Dominio, Libertà e Tutela nel
De uno, in
Per il secondo centenario della
Scienza nuova
di G. B. Vico (1725-1925),
Roma,
1925, pp. 137-152, in partic. p. 139.
31 «Sed homo Deum aspectu amittere omnino non potest suo, quia a Deo sunt omnia a
Deo non est nihil est. NamDei lumen in omnibus rebus, nisi reflexu, saltem radiorum refractu
cernere cuique datur. Quare homo falli nequit nisi sub aliqua veritatis imagine, vel peccare
nequit nisi sub aliqua boni specie» (OG, p. 53
[De uno,
§ XXXIII]). È molto interessante ri­
levare come in questo caso Vico si serva di un linguaggio metaforico strettamente legato a im­
magini ottiche, per descrivere il processo di ‘comunicazione’ indiretta - l’unico possibile -
che avviene tra mente infinita e menti finite. Si tratta di una importante ripresa da parte di Vi­
co dei temi della luce e delle immagini ottiche propri del Rinascimento, ma altrettanto cari
anche alla tradizione del cartesianesimo.
i2 Ibid.,p.
46
[De uno, $ XV],
33
«[...] Et honestas ita veritatis pedisequa est, uti est pedisequa mentis voluntas. Et uti
aeterna quaeque veritas est cum aeterno rerum ordine conformatio mentis, ita honestas na­
turalis est cum aeterno rerum ordine conformatio voluntatis»
(ibid.,
p. 49
[De uno,
§ XVIII]).
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