RELIGIONE E DIRITTO NEL
DE UNO
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re ai bisogni naturali delle azioni umane34. La comunicazione delle uti­
lità è rimessa agli uomini tramite l’idea del diritto, eterna misura dell’u­
tile, uguaglianza di tutte le utilità stabilita da un principio eterno e per
questo tale da garantire che la comunicazione alle menti finite di esse sia
anche realizzazione dell’idea di ordine.
Ma l ’uomo creato da Dio incorrotto è poi, per propria colpa, cadu­
to, in quanto è insito della natura umana che la volontà tenda sempre a
sopraffare la ragione, a violare quell’equilibrio ‘naturale’ concesso da Dio
nell’atto di natura, nel momento stesso della creazione. Dalla caduta del­
l ’essere umano si genera una ‘rottura’ definitiva, un passaggio dall’uni­
versale al particolare, dall’infinito al finito, dall’eterno al transeunte, pas­
saggio che tuttavia non crediamo determini un netto trapasso dal bene
al male35, anche se esso provoca una frattura dell’originaria misura (ne
conseguono infatti
concupiscenza
,
errore
e
passione
36) e anche se dà ori­
gine a ogni infelicità umana. Pure nella sfera delle utilità si rompe l’ori­
ginario equilibrio: quell’ordine centrale attraverso il quale le utilità era­
no comunicate alle menti finite si dissolve, e il campo dell’utile diventa
per gli uomini motivo di dissidio e di male reciproco.
Velie
e
Posse
si al­
lontanano allora definitivamente dalla sfera della conoscenza provocan­
do un totale sconvolgimento dell’intatta armonia originaria, nonché il
mutamento di ruolo del finito di fronte alla
sapientia
allorché l’uomo ‘sol­
leva’ i sensi «ad essere arbitri e giudici della verità delle cose»37.
Eppure l’uomo non può perdere del tutto ogni idea di Dio: la sua men­
te è alterata dallo stato finito, ma è pur sempre mente legata alla verità at­
traverso la traccia dell’idea dell’essere, dell’ordine e delle relazioni uni­
versali. Anche nell’essere umano corrotto non sono insomma del tutto as­
senti quei
semina veri
, che «coll’aiuto di Iddio, valgono a fargli dispiegare
una forza che contrasta alla corruzione della natura»38, quella
vis veri
del-
34 «Natura utenda sunt quae usu ipso afferunt utilitatem, de quibus maxime proprie uti­
litas dicta est»
(ibid.,
p. 413
[De const.,
P. II, § V, 3], ma cfr. anche pp. 59,61
[De uno,
§§ XLV,
2-XLVI, 1]).
35 Si veda a riguardo E.
P
aci
,
Ingens Sylva,
Milano, 1994, pp. 110-144, suggestiva inter­
pretazione che insiste sulla stretta correlazione che, dopo la caduta dell’uomo, si determina
tra ‘finito’ e ‘male’. Ma cfr. anche A.
CORSANO,
G. B. Vico,
Roma-Bari, 1956, p. 170, che di
contro afferma il finito non essere, in sé, propriamente una colpa.
36 «Cupiditatem gignit qnXaurla, sive amor sui ipsius, quo nos nostri delicias facimus.
Errorem gignit iudicii temeritas, qua de rebus iudicamus antequam eas habeamus plane ex­
ploratas. Animi perturbationem gignit corruptae naturae ferocia, quam dum palpas irritas, et
hoc magis irritas quo magis palpas»
(OG,
p. 49
[De uno,
§ XXIII]).
37
Ibid.,
p. 51
[De uno,
§ XXV],
38 «Hinc aeterni veri semina in homine corrupto non prorsus extincta, quae, gratia Dei
adiuta, conantur naturae corruptionem»
(ibid.,
p. 53
[De uno,
§ XXXIV]).
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