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ALESSIA SCOGNAMIGLIO
vinità come Ente e pertanto risulta necessario mettere ‘in relazione’ con
tale Ente altri enti finiti, esseri umani. Dopo che è stata stabilita una cor­
rispondenza obiettiva con la religione, essa è sottoposta alla disciplina
della regola giuridica e quindi trasformata - alla stregua di ogni rela­
zione umana disciplinata dal diritto - in un rapporto giuridico: risulta
allora evidente che ci si avvia, con Vico, a riconoscere il diritto divino,
insieme a quello umano, come un momento del diritto positivo. Degno
di nota ci sembra poi il fatto che tale esperienza sia propria della tradi­
zione del diritto romano: Vico dimostra piena consapevolezza che i Ro­
mani erano ben consci dell’ambivalente dicotomia ma anche dell’unio­
ne tra
res divinae
e
res humanae,
e dell’assunzione delle prime nella ca­
tegoria delle
res divini juris,
tanto da comprendere il diritto divino in
quel ramo del diritto positivo che è il diritto pubblico, come si ricava
dai frammenti ulpianei riguardanti la definizione della giurisprudenza
e la distinzione del diritto in pubblico e privato. Così se in un primo
momento il diritto umano appare implicito nel divino e successivamente
è proprio quest’ultimo a divenire momento del diritto umano, di poi è
il diritto divino a essere quasi elevato - a sorta di modello - dinanzi al
diritto umano. Ora il modello non è distante dalla realtà umana (per­
ché se così fosse segnerebbe una distanza incolmabile): Dio - lo abbia­
mo visto - è stato concepito con gli attributi della giustizia e del dirit­
to, eppure la sua giustizia - indissolubilmente unita alla sua carità - non
erra, come invece accade alla giustizia e alla legge umana. Allorché si
pensa a un diritto divino trascendente il diritto umano - e posto innan­
zi ad esso quasi come un paradigma - occorre che quel diritto, sia pu­
re per virtù superiore, si immedesimi nella coscienza degli uomini per
sostenerli: occorre dunque un
fas,
che divenga
fas gentium.
Se il
diritto
naturale divino
, o
diritto divino delle genti,
è possibile concepirlo all’i ­
nizio del processo storico del diritto e a sostegno dei suoi sviluppi, si
giunge alla conclusione di un ‘circolo’59, le cui fasi possono così essere
riassunte: il diritto umano, implicito in quello divino, si afferma pro­
gressivamente come diritto positivo, senza allontanarsi dall’influenza di­
vina o dai contatti con il diritto divino divenuto in parte, esso pure, po­
59
«De divino juris circolo»: è così che Vico sottolinea il concetto di
circolarità
dello svi­
luppo
(ibid..,
p. 209
[De uno,
§ CLVI]). Sulla ‘circolarità’ del corso storico insiste giustamen­
te anche Badaloni: «Il corso storico è dunque serrato nel ‘circolo’ del diritto naturale primo
e secondo e dà luogo ad un ordine in forza del quale i due sensi del diritto naturale si com­
pletano a vicenda, non essendo immaginabile un ordine sociale fondato esclusivamente sulla
razionalità-eguaglianza ed essendo solo un momento limite quello della ferinità. E proprio la
tensione di questi due significati a dare senso al corso della storia» (N.
B
adaloni
,
Sul vichia­
no diritto naturale delle genti,
cit., p. XV).
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