RELIGIONE E DIRITTO NEL
DE UNO
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sitivo, per ritornare, infine, a confortarsi nella sua originaria e divina
concezione. Vico offre la giustificazione del
fas gentium
, una motiva
zione che è etica e storica insieme. Si pensi, infatti, ai primi governi: do
po lo stato eslege i poteri delle famiglie incominciarono nel momento
in cui venne riconosciuto un diritto divino, espresso con la scienza de
gli auspici che prese il nome di divinazione60. Poiché due potestà so
vrane sono e saranno sempre destinate a incontrarsi e a scontrarsi nel
mezzo sociale, anche le famiglie in virtù della loro uguaglianza inco
minciarono a considerarsi, da subito, reciprocamente nemiche: fu allo
ra necessario istituire un diritto
equatorio
per rendere assolutamente
uguali queste posizioni contrastanti. Ma un diritto che sia pienamente
‘equatorio’ - dichiara Vico - non è tuttavia possibile se prima non è sta
to stabilito un superiore punto di direzione, una posizione ‘comune’ a
tutte le forze in opposizione61: tale forza che si sovrappone alle altre for
ze, e nella quale si avverte fortemente la necessità di disciplinare le so
vrane podestà familiari, si identifica con
Xeterna Ragione,
con
Xeterna
Giustizia
, insomma con il
sommo Dio.
Nasce così per l ’indole delle na
zioni e per le usanze comuni delle società civili un diritto naturale tra le
genti, un
fas gentium in bellis:
Volle adunque la divina provvidenza, che pel solo naturale effetto delle
spontanee costumanze, giungessero le nazioni a quel punto medesimo, ove
son pervenuti gli stoici coi più astrusi lor raziocini, cioè ad acquistar la co
gnizione del diritto naturale, ed a riconoscere, in occasione delle guerre, che
tutti i civili governi sparsi sovra la terra, formano una grande società, ove so
no in comunioneIddioegliuomini,
questi, come lo abbiam detto con lui par
tecipando il vero e la ragione; nella qual società regna ed impera il solo Id
dio, sendone sudditi gli uomini, e figurandovi le sovrane podestà civili qua
si nella condizione di un ordine di ottimati, preposto a fare pure e religiose
le guerre, cioè non intraprendendole per spontaneo capriccio, ma moven
dole solo per contrastare alla ingiustizia ed alla violenza [...]. E quei domi
natori, che per mala tendenza di lor prava natura si separano dalle
leggi co
muni dell’umanità
e vogliono regnar soli sulla terra, imparan tosto per le
guerre istesse che non può durare la potenza in chi si diparte da quella so
cietà universale di cui è reggitore Iddio62.
60
OG,
pp. 119 ,12 1
[De uno,
§ CIV, 7].
61 «Quin per has caussas ipsa imperia familiaria a falso iure divino per divinationem apud
gentes, uti nos supra descripsimus, orta esse, docet perpetua bellorum ratio: qud ubi plures
summae potestates bello, ut diximus, se agnoscunt hostes, se agnoscunt aequales, protinus in-
telligunt se subditas esse Deo. Quia aequalitas nulla stare potest sine regimine; nullum jus ae-
quatorium sine rectorio celebratur, nulla iustitia aequatrix sine iustitia rectrice vivit, ut supe
rius dictum est»
(ibid.,
p. 209
[De uno,
§ CLVI, 1], ma cfr. anche p. 81
[De uno,
§ LXIV, 2]).
62
Ibid.,
p. 210
[De uno,
§ CLVI, 4-5], il corsivo è nostro.