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ROSARIO DIANA
le si è dissimulata la pulsione narrativa nascosta nel costante ed ostinato
cammino verso «la concretezza dell’esperienza» e della storia, ha fatto -
se continuiamo a parafrasare Verene - il centro propulsivo della specula­
zione? A queste domande non è possibile qui dare risposta. Ma è possibi­
le rilevare, sulla scorta di quanto si è detto finora, la vocazione storica del
lògos
posto alla base del pensiero vichiano: una «filosofia della storia», co­
me è stato autorevolmente osservato, «che è piuttosto una filosofia stori­
ca»10; un pensiero che prende le mosse da una ragione che si fa storia e da
una storia che si fa dispiegamento - risolventesi però «tutto nel procedi­
mento con cui si forma e si svolge» e non hegelianamente nel prodotto
conclusivo, nel «dispiegato»11- dei principi eterni «nel tempo e nelle isti­
tuzioni»12o, per dirla con una formula sintetica che qui non può non mo­
strare tutta la sua fondata trasparenza ossimorica, da una
ragione narrati­
va)
l3. Questo modello di ragione, che nelle prossime pagine si cercherà di
delineare rintracciandolo nelle diverse opere del filosofo settecentesco,
consente di comprendere meglio e di giustificare teoreticamente l ’adesio­
ne vichiana - con la conseguente composizione della
Vita
- agli intenti
espressi in quel breve ma denso scritto programmatico intitolato
Progetto
ai Letterati d’Italia per saivere le loro Vite,
che, pensato e pubblicato dal
conte Giovanartico di Porcìa, è stato acutamente definito
la
«
carta costi­
tuzionale
[...], la
partitura
di tutte le
Vite
del primo Settecento»14.
10 F.
TESSITORE,
Vico, la decadenza e il ricorso,
in Id.,
Nuovicontributialla storia e alla teo­
ria dello storicismo,
Roma, 2002, p. 37. Altrove Tessitore - sottolineando l’originalità e la mo­
dalità del pensiero vichiano e mettendolo al riparo dalla perversa logica dei precorrimenti -
osserva che «Vico costruisce una compiuta filosofia materiale della storia, la quale, in pole­
mica con ogni costruzione teleologica della realizzazione di uno scopo, significa definizione
del senso complessivo della storia, derivante dall’essenza individuale degli uomini [...], non
esente da riferimenti a princìpi normativi non astratti o slegati dal ‘mondo civile’ ossia mon­
do degli uomini [...]. Alla filosofia materiale della storia si affianca la filosofia formale della
storia, secondo un nesso che è proprio delle più rigorose scienze sociali, consapevoli del loro
spessore teorico, quindi non appiattite nell’empiria di tanta incolta sociologia ottocentesca e
novecentesca» (Id.,
Vico e le scienze sociali,
in Id.,
Contributi alla storia e alla teoria dello sto­
ricismo,
cit., voi. I, p. 226).
11 P. PIOVANI,
Vico senza Hegel,
in Id.,
La filosofia nuova di Vico,
a cura di F. Tessitore,
Napoli,1990, pp. 200-201.
12 C . V
aso li
,
Note sul 'metodo' e la ‘struttura’ della ‘Scienza nuovaprima’,
in questo «Bol­
lettino» XIV-XV (1984-1985), p. 27.
13 Già alla fine dell’Ottocento Tommaseo rilevava la profonda commistione nel pensato­
re napoletano di ragione e narrazione, osservando che «Vico [...] raccontando, ragiona e, ra­
gionando, dipinge» (N.
TOMMASEO,
La storia civile nella letteraria,
Torino, 1872, p. 104, cit.
in B.
C
roce
,
Lafilosofia di Giambattista Vico,
cit., p. 265).
14 A.
BATTISTINI,
Dalla Gorgone a Proteo,
in Id.,
Lo specchio di Dedalo. Autobiografia e
biografia,
Bologna, 1990, p. 81 (primi due corsivi miei). All’esame ravvicinato del
Progetto
di
Porcìa, che più avanti si pubblica, è dedicato il § 5 di questo nostro lavoro.
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