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ROSARIO DIANA
ratterizzazione teoretica della somiglianza posta fra uomo e Dio stringe i
due enti, quello finito e quello infinito, in un nesso gnoseologico tale che
risultano «razionalmente collegati fra loro tutti i ragionamenti con cui l’uo
mo [... ] procede ed ascende dalla conoscenza di se stesso a quella di Dio»19;
sicché, come si sperimenta nel
cogito
cartesiano - che Vico sintetizza qui
magistralmente, adducendolo a sostegno della sua tesi per poi criticarlo
aspramente nel
De antiquissima -,
«osservando se stessa», la mente umana
«ci conduce per mano alla conoscenza del Sommo Bene, di Dio Onnipo
tente»20.
L’uomo - immagine della divinità - ha un corpo, ma soprattutto ha un
‘animo’ nel quale si risolve la sua vera essenza e si fonda l’affinità con Dio,
che è e deve essere - come scriverà Vico più di trent’anni dopo - «im
mune dal contagio del corpo»21. Ogni facoltà della mente umana denun
cia la propria somiglianza con l’ente divino e va colta come sua sfolgo
rante favilla: divina è infatti «la facoltà che vede, divina quella che ode,
divina quella che concepisce le idee, divina quella che comprende, divi
na quella che giudica, divina quella che ragiona, divina quella che ricor
da. Vedere, udire, pensare, comprendere, ragionare, ricordare sono atti
vità divine. La sagacia, l ’acume, l ’alacrità, la capacità, l’ingegno, la cele
rità sono doti mirabili, grandi, divine»22. Tutte queste - unite alla natura
le inclinazione che la mente umana ha per la verità23 - sono però ancora
e soltanto predisposizioni alla sapienza, seppure di natura divina. Il pas
saggio dal puro e semplice possesso di tali doti all’acquisizione più qua
lificante del sapere si realizza per mezzo di un atto di volontà, in virtù del
quale il singolo uomo, con una libera decisione di cui è il solo responsa
bile, si lascia alle spalle la numerosa turba degli «indolenti» e «rivolge» la
propria mente allo studio delle scienze. «O grande vergogna degli indo
19
Ibid.,
p.
85
(«omnes inter se aptae rationes et colligatae sint explicat, quibus homo...,
a sui ad Dei cognitionem graditur et ascendit»,
ibid.,
p.
84).
20
Ibid.,
p.
87
(«O mira mentis humanae vis, quae, in se ipsam conversa, ad cognitionem
summi boni, Dei Opt. Max., nos perducit»,
ibid.,
p. 86). Per la sintesi del
cogito
cartesiano
cfr.
ibid.,
pp.
84/87.
21 G. Vico,
Della mente eroica
(
1732),
in Id.,
Varia. ‘Il De mente heroica’ e gli scritti lati
ni,
cit. (d’ora in poi
De mente),
p.
149
(«a corporis contagione secretam»,
ibid.,
p.
148).
22
Or. I,
p.
91
(«divina vis est quae videt, divina quae audit, divina quae rerum formas gi
gnit, divina quae percipit, divina quae iudicat, divina quae colligit, divina quae meminit. Vi
dere, audire, invenire, componere, inferre, reminisci, divina. Sagacitas, acumen, solertia, ca
pacitas, ingenium, velocitas mira, magna, divina»,
ibid.,
p.
90).
23 «La natura ci ha creati per la verità [...], come il fumo è nocivo e dannoso agli occhi,
lo stridio alle orecchie, il puzzo alle narici, così l’errare, l’ignorare, l’ingannarsi sono contrari
alla mente umana (natura [...] nos ad veritatem fecit [...], ut fumus oculis, stridor auribus,
naribus foetor adversus est et infestus, ita ‘errare, nescire, decipi’ humanae menti inimicum)»
(ibid.,
pp.
90/91).