RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
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lenti, non essere sapienti! - scrive Vico, avviandosi a concludere questa
prima lezione inaugurale - Perché? Perché non lo hanno voluto, giacché
l ’essere sapienti dipende soprattutto dalla nostra volontà»24.
La rilevanza ontologica di questa
decisione per la scienza
è notevole e
viene sottolineata con forza dal filosofo napoletano. Grazie ad essa, in­
fatti, l’uomo vichiano - come quello di Pico della Mirandola, creato da
Dio «plastes et fictor» di se stesso25- realizza la propria natura; una na­
tura che dunque non è un dato di partenza, una configurazione ben de­
finita
ab origine
nella sua compiutezza - come avviene per gli animali la
cui essenza è statica, determinata fin dalla nascita ed immodificabile - ,
ma è un
risultato
, è l ’esito di una scelta fra due possibili alternative: da
un lato, la ‘stoltizia’, che precipita l’uomo in quel «carcere tenebroso (
te­
nebricosus carcer)»
che è il corpo e lo fa vivere immerso nell’«opinione
(opinio)»,
nella «menzogna
(falsitas
)» e nell’«errore (errar)»26; dall’altro,
la sapienza, che consente a ciascuno di noi di allontanare «il suo animo
dal corpo (
animum... a corpore)»,
di intrattenersi «con la sua parte mi­
gliore e divina
(cummeliore ac divina parte
)»27e perciò di «essere se stes­
so
(sibiconstet
J»28. La «legge eterna sulla quale Dio Onnipotente ha fon­
dato la comunità di tutto questo universo - scrive Vico nella seconda ora­
zione - [ . . . ] è questa: se tutte le cose vogliono salvare se stesse e l ’ordi­
ne dell’universo, le altre creature debbono seguire come guida la propria
natura, l ’uomo invece deve seguire come guida la propria sapienza»29.
Decidendosi per la scienza, l ’uomo non soltanto dà progressivo compi­
mento alla propria essenza, ma entra a far parte a pieno titolo della «città»
24
Ibid.,
p. 93 («O insignem desidiosorum ignominiam, eos sapientes non esse! Cur? quia
noluerint, quando, ut sapientes simus, id voluntate maxime constat»,
ibid.,
p. 92).
25 G.
PlCO DELLA MIRANDOLA,
De hominis dignitate,
in Id.,
Opera omnia,
2 tt., a cura di
E. Garin, Torino, 19 7 1,
1
.1, p. 314.
26 Cfr.
Or. II
(18 ottobre 1700), pp. 118/119.
27
Ibid.,
pp. 116/117.
28
Ibid.,
pp. 120/121. Sul tema dell’uomo come arbitro del proprio «destino» Vico ritor­
na con maggiore incisività nella terza orazione (18 ottobre 1701), dove si legge: «nessun do­
no più luminoso e nello stesso tempo più magnifico del libero arbitrio, munificamente con­
cesso al pensiero umano, ci è stato dato dalla infinita bontà di Dio [...]. Mentre tutte le altre
creature servono e sono schiave della loro propria natura, il solo uomo sia invece il sovrano
assoluto del suo destino [...]. Soltanto l’uomo è ciò che egli vuole, diventa ciò che desidera
(nullum sane splendidius aeque ac magnificentius donum quam liberum humanae menti con­
cessum et datum arbitrium ab infinita eius bonitate profectum esse videatur [...]. Cum reli­
quae res creatae omnes suae cuiusque naturae serviant mancipatae, unum vero hominem im­
perare [...]. Unus homo est quod vult, fit quod lubet, agit quod placet)»
(Or. III,
pp. 122/125).
29
Or. II,
p. 99 («aeternam [...] legem, qua Deus Opt. Max. hanc totius mundi civitatem
fundavit; quod, omnia si se et universi rem publicam salvam velint, reliqua creata suam cuius­
que naturam, homo vero sapientiam ducem sequatur»,
ibid.,
p. 98).
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