122
ROSARIO DIANA
universale composta dall’eletta schiera dei sapienti30, uniti vicendevol
mente da quella conoscenza condivisa della legge divina, posta a guida
dell’universo, che è poi il nocciolo costitutivo della sapienza umana. Sic
ché, se la «sapienza divina (
Sapientia Divina
)» coincide con la «raziona
lità divina infusa in tutto l ’universo e in tutte le sue parti [ ...] , tutto per
meando»31 e dando vita ad ogni cosa, la sapienza umana consiste nella
compiuta conoscenza di questa razionalità diffusa. L’andamento stoi-
cheggiante della riflessione si fa ancora più evidente quando Vico, de
scrivendo a grandi tratti la condizione di imperturbabilità propria del sa
piente, scrive che l’uomo decisosi per la scienza «comprende di essere
obbligato ad osservare questo sacro giuramento: sopportare le sciagure
della vita senza lasciarsene turbare, perché non è in nostro potere evi
tarle. Così, dall’alta inespugnabil ròcca»32, per così dire, della mente
guarda sdegnoso «ogni potere della fortuna e [...] resiste alle raffiche e
alle tempeste delle umane vicende»33.
Quella che qui, con una terminologia palesemente novecentesca, ab
biamo chiamato
decisioneper la scienza
non coincide però ancora con il pos
sesso della scienza; la consapevolezza entusiastica che in lui abita una men
te divina - presupposto imprescindibile per la scelta a favore del sapere con
tro l’ignoranza - non è sufficiente a fare dell’uomo il sapiente conoscitore
dell’onnipervasiva razionalità di Dio nel mondo. Al proposito generico, per
quanto motivato, di consacrarsi al sapere deve seguire l’effettiva dedizione
al sapere, che non è la pura riflessione di un Io isolato dal mondo ed avul
30 «La
cittadinanza
di questa città - scrive Vico definendo il requisito necessario per poter
essere annoverato fra i suoi membri - è comune soltanto a Dio e ai sapienti, poiché gli uomini
conseguono la partecipazione a questo diritto non per privilegio nobiliare, non per i figli, non
per meriti acquisiti navigando e combattendo, ma
con la loro sapienza
(Eius urbis civitas non ni
si Deo sapientibusque communis est, quando eius iuris communionem non principali benefi
cio, non liberis, non nave, non militia homines,
sedsapientia
, consequuntur)»
(ibid.,
pp. 114/115
- corsivi miei). La concezione del sapere come strumento di edificazione si conserverà immu
tata lungo tutto l’iter speculativo del filosofo napoletano: la si ritrova, infatti, espressa a chiare
lettere in una tarda orazione pronunciata a Napoli, il 6 gennaio 1737, per inaugurare il quinto
anno di attività della ricostituita Accademia degli Oziosi. «La sapienza - scrive Vico in questo
testo concludendo non senza enfasi il suo discorso - è la perfezionatrice dell’uomo nel suo pro
prio esser d’uomo, ch’è mente e lingua» (G. Vico,
Le accademie e i rapporti tra lafilosofia e l’e
loquenza,
in Id.,
Opere,
2 voli., a cura di A. Battistini, Milano, 20013, voi. I, p. 409).
31
Or. II,
p. 115 («divina ratio est toti mundo et partibus eius inserta, quae omnia per
means mundum»,
ibid.,
114).
32 Si forza qui lievemente la traduzione per riprendere l’immagine della ‘rocca’ presente
in G. VICO,
Aggiuntafatta dal Vico alla sua autobiografia,
in
Id.,
Opere,
cit., voi.
I,
p. 85.
33
Or. II,
p. 117 - corsivo mio («ad hoc sacramentum se adactum intelligit: ferre morta
lia, nec perturbari his, quae vitare nostrae potestatis non est. Itaque ab celsa mentis veluti ar
ce omne fortunae regnum despectat et [...] humanorum casuum ventos nubesque superat»,
ibid.,
p. 116). Si noti qui la presenza del
topos
dell’«alta rocca», che poi ritornerà nella
Vita.