126
ROSARIO DIANA
L’elaborazione in forma dialogica e compartecipativa del sapere e, at
traverso quest’ultimo, della natura propria dell’uomo è qui troppo impor
tante per non richiedere che si rispettino alcune basilari regole di compor
tamento poste a garanzia in generale dell’onestà intellettuale e della libera
espressione degli individui coinvolti nel comune lavoro di ricerca. Pertan
to, rivolto agli studenti universitari napoletani, Vico nella terza orazione li
esorta ad allontanare «ogni manifestazione di perfidia [...] dalla repubbli
ca delle lettere»40; ad essere solidali con «coloro che professano le arti li
berali (
bonarumartiumprofessores)»41-,
a confutare, ove necessario, «le man
chevolezze e gli errori degli altri non con le offese oltraggiose ma con i ra
gionamenti e con gli argomenti concreti»42; a tributare senza gelosie il le
gittimo riconoscimento a chi sembra essere nel giusto, non mancando di
segnalare, con parole per quanto [ ...] possibile cortesi
(verbis, quantumpo
tes, bonis)»4},
a chi sbaglia il proprio errore; non ostinarsi a persistere in una
convinzione quando «ne venga dimostrata un’altra più verosimile (
alia ve
ri similior non commonstretur)»44.
Queste fondamentali norme di deonto
logia della ricerca sono un vero e proprio decalogo in cui l’attenta e solle
cita cura per l’Altro si intreccia indissolubilmente con la lucida consapevo
lezza di quanto sia indispensabile per l’uomo incamminatosi sulla via del
sapere il contributo intellettuale dell’altro uomo, il che impone di tutelare
la reciproca partecipazione della scienza contro ogni forma di diffidenza,
di pregiudizio o di sospettoso irrigidimento; tutto ciò naturalmente nella
motivata convinzione che la crescita culturale del singolo individuo, realiz
zata in un continuo confronto intersoggettivo, si converta immediatamen
te in un progressivo arricchimento ontologico, ovvero nel conseguimento
di una sempre più perfetta somiglianza con Dio. Quello che però in questa
terza orazione è ancora un interlocutore scientifico reale, nel mutato, più
40
Or. Ili,
p. 127 («a literaria societate malam fraudem»,
ibid.,
p. 126).
41
Ibid.,
pp. 128/129.
42
Ibid.,
p. 131 («non probris et contumeliis, sed rationibus et ipsis rerum argumentis alio
rum lapsus erroresque confuta»,
ibid.,
p. 130).
43
Ibid.,
pp. 134/135.
44
Ibid.,
pp. 136/137. E ancora, riassumendo il suo pensiero in merito, Vico scrive: «Vivia
mo dunque nella repubblica delle lettere senza ricorrere ad alcuna perfidia; ascriviamo aloro me
rito i pregi degli autori; compensiamone i difetti con i pregi; aggiungiamo qualcosa di nostro al
patrimonio comune, e non dichiariamo di avervi aggiunto più di quello che vi aggiungiamo. Vo
lete un’arte nuova per imitare i pregi degli scrittori? amateli. Volete un sistema nuovo per evitar
ne i difetti? non andate a cercarli con cura maligna, e se per caso ne trovate qualcuno, giudicate
lo con indulgenza e comprensione (Igitur literariam societatem, omni abacta mala fraude, agite
mus; authorum virtutes lucro apponamus; cum virtutibus vicia compensemus; conferamus quid
in commune de nostro, neve plus quam conferimus contulisse profiteamur. Vultis novam artem
imitandi scriptorum virtutes? amate. Vultis novam rationem vitandi vicia? ne curiosi pervestige
tis, et si quae offendatis, aequi bonique consulite)»
(Or. III,
pp. 144/145).