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ROSARIO DIANA
L’elaborazione in forma dialogica e compartecipativa del sapere e, at­
traverso quest’ultimo, della natura propria dell’uomo è qui troppo impor­
tante per non richiedere che si rispettino alcune basilari regole di compor­
tamento poste a garanzia in generale dell’onestà intellettuale e della libera
espressione degli individui coinvolti nel comune lavoro di ricerca. Pertan­
to, rivolto agli studenti universitari napoletani, Vico nella terza orazione li
esorta ad allontanare «ogni manifestazione di perfidia [...] dalla repubbli­
ca delle lettere»40; ad essere solidali con «coloro che professano le arti li­
berali (
bonarumartiumprofessores)»41-,
a confutare, ove necessario, «le man­
chevolezze e gli errori degli altri non con le offese oltraggiose ma con i ra­
gionamenti e con gli argomenti concreti»42; a tributare senza gelosie il le­
gittimo riconoscimento a chi sembra essere nel giusto, non mancando di
segnalare, con parole per quanto [ ...] possibile cortesi
(verbis, quantumpo­
tes, bonis)»4},
a chi sbaglia il proprio errore; non ostinarsi a persistere in una
convinzione quando «ne venga dimostrata un’altra più verosimile (
alia ve­
ri similior non commonstretur)»44.
Queste fondamentali norme di deonto­
logia della ricerca sono un vero e proprio decalogo in cui l’attenta e solle­
cita cura per l’Altro si intreccia indissolubilmente con la lucida consapevo­
lezza di quanto sia indispensabile per l’uomo incamminatosi sulla via del
sapere il contributo intellettuale dell’altro uomo, il che impone di tutelare
la reciproca partecipazione della scienza contro ogni forma di diffidenza,
di pregiudizio o di sospettoso irrigidimento; tutto ciò naturalmente nella
motivata convinzione che la crescita culturale del singolo individuo, realiz­
zata in un continuo confronto intersoggettivo, si converta immediatamen­
te in un progressivo arricchimento ontologico, ovvero nel conseguimento
di una sempre più perfetta somiglianza con Dio. Quello che però in questa
terza orazione è ancora un interlocutore scientifico reale, nel mutato, più
40
Or. Ili,
p. 127 («a literaria societate malam fraudem»,
ibid.,
p. 126).
41
Ibid.,
pp. 128/129.
42
Ibid.,
p. 131 («non probris et contumeliis, sed rationibus et ipsis rerum argumentis alio­
rum lapsus erroresque confuta»,
ibid.,
p. 130).
43
Ibid.,
pp. 134/135.
44
Ibid.,
pp. 136/137. E ancora, riassumendo il suo pensiero in merito, Vico scrive: «Vivia­
mo dunque nella repubblica delle lettere senza ricorrere ad alcuna perfidia; ascriviamo aloro me­
rito i pregi degli autori; compensiamone i difetti con i pregi; aggiungiamo qualcosa di nostro al
patrimonio comune, e non dichiariamo di avervi aggiunto più di quello che vi aggiungiamo. Vo­
lete un’arte nuova per imitare i pregi degli scrittori? amateli. Volete un sistema nuovo per evitar­
ne i difetti? non andate a cercarli con cura maligna, e se per caso ne trovate qualcuno, giudicate­
lo con indulgenza e comprensione (Igitur literariam societatem, omni abacta mala fraude, agite­
mus; authorum virtutes lucro apponamus; cum virtutibus vicia compensemus; conferamus quid
in commune de nostro, neve plus quam conferimus contulisse profiteamur. Vultis novam artem
imitandi scriptorum virtutes? amate. Vultis novam rationem vitandi vicia? ne curiosi pervestige­
tis, et si quae offendatis, aequi bonique consulite)»
(Or. III,
pp. 144/145).
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