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ROSARIO DIANA
mente, a quel famosissimo assunto gnoseologico che, condensato solita­
mente nell’espressione
verum-factum
ed enunciato già nel
De ratione41,
trova nel
De antiquissima
la sua prima adeguata formulazione48.
Quanto al primo punto, nel testo viene dichiarato con estrema chiarez­
za il fine dell’indagine. Si tratta di «ricavare», secondo la versione di Paolo
47 «Dimostriamo le cose geometriche - scrive Vico in questa prolusione inaugurale tenu­
ta all’Università di Napoli il 18 ottobre 1708 e pubblicata con notevoli aggiunte e migliora­
menti l’anno dopo - perché le facciamo; se potessimo dimostrare le cose fisiche, noi le fa­
remmo (geometrica demonstramus, quia facimus; si physica demonstrare possemus, facere­
mus)»
(G .
Vico,
De nostri temporis studiorum ratione
, in Id.,
Opere
, cit., con testo a fronte,
voi. I - d’ora in poi
De rat.
-, pp. 116/117). Per una contestualizzazione storica di questa ora­
zione nella cultura napoletana del tempo cfr. B. De
GIOVANNI,
Il 'De nostri temporis studio-
rum ratione’ nella cultura napoletana del primo Settecento
, in
Omaggio a Vico
, cit., pp. 141 -
191; inoltre, per la collocazione dell’orazione nell’opera complessiva vichiana, cfr. ancora B.
De
GIOVANNI,
Topica e critica
, in «Il pensiero» XLI (2002) 1, pp. 31-45.
48 Naturalmente non è Vico il primo pensatore della tradizione filosofica occidentale a con­
nettere il
verum
con il
factum.
Questo lo notava già Croce, quando scriveva che «nulla» è «più fa­
miliare [...] a un cristiano [...] dell’affermazione che solo Dio può avere scienza piena delle co­
se, perché egli solo ne è l’autore» (B. CROCE,
Lafilosofia diGiambattista Vico
, cit., p. 13, ma si ve­
da anche p. 14). Nel 1944 Max Harold Fisch, curando l’edizione inglese della
Vita,
indicava in
Hobbes una fonte privilegiata della gnoseologia vichiana. «In Hobbes - scriveva Fisch - [Vico]
trovava la traccia per un’ulteriore e decisiva estensione della sua teoria della conoscenza» (M. H.
FlSH,
Introduction
to
TheAutobiography ofGiambattista Vico
[1944], Ithaca and London, 19754,
p. 40), e citava un lungo brano dalle hobbesiane
Six Lessons to thè Professors ofthèMathematics
(Epistle Dedicatore,
in
The English Works of Thomas Hobbes ofMalmesbury,
10 voli., a cura di
W. Molesworth, London, 1839 sgg., voi. VII, pp. 183-184), sottolineando in corsivo il passo cru­
ciale in cui il filosofo inglese affermava che
«la filosofia civile è dimostrabile, perché noi stessifac­
ciamo la comunità»
(FlSH,
op. cit.,
p. 41). Su questa stessa strada si incamminava nel 1952 anche
Nicola Abbagnano, che perentoriamente concludeva: «Il principio dell’identità del vero e del fat­
to [...] è tolto di peso da Hobbes» (N.
ABBAGNANO,
Introduzione del 1952
a G. VICO,
La scien­
za nuova e altri scritti,
cit., p. 36). A conforto della sua tesi riportava anche lui un lungo brano,
questa volta dal
De homine
(10), nel quale si leggeva che «è concessa agli uomini la scienza solo
di quelle cose la cui generazione dipende dal loro stesso arbitrio»; pertanto, «proprio perché sia­
mo noi stessi a creare le figure, c’è una geometria ed è dimostrabile [...]. Inoltre la politica e l’e­
tica» possono essere dimostrate
a priori:
infatti i loro «principi, i concetti del giusto e dell’equo e
dei loro contrari, ci sono conosciuti perché noi stessi creiamo le cause della giustizia, cioè le leg­
gi e le convenzioni»
(ivi).
Sulle orme di Fisch si muoveva anche Arthur Child, che nel 1953 pub­
blicava una ricerca sul
verum-factum
in Hobbes, Vico e Dewey
(CfflLD,
op. cit.).
Nel 1968 appa­
riva in italiano un saggio di Karl Lowith che, in rapporto alla posizione di Hobbes, metteva in lu­
ce le profonde interferenze esercitate dal concetto vichiano di provvidenza nei confronti del prin­
cipio del
verum-factum
applicato alla storia, il quale ne usciva - a suo avviso - profondamente ri­
dimensionato
(LOWITH,
op. cit.,
pp. 94 sgg.). Nel 1969, infine - per citare solo i contributi più ri­
levanti al tema -, Rodolfo Mondolfo pubblicava il suo agile volume sulla storia del famoso as­
sunto vichiano
(MONDOLFO,
op. cit.).
Al di là dell’indubbio valore che bisogna riconoscere a sif­
fatte ricostruzioni storiografiche e dell’interesse che esse sempre suscitano, va però ricordato che,
se l’idea della connessione fra
verum
e
factum
non è un parto della mente di Vico, è però origi­
nale in lui la sua assunzione quale principio gnoseologico denso di implicazioni e la posizione di
centralità che esso occupa nella riflessione filosofica e storica del pensatore napoletano. Ancora
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