RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
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Cristofolini - ma nell’alveo semantico del verbo
eruere
sono contenuti an­
che i significati di ‘estrarre’, ‘dissotterrare’, ‘portare alla luce’, più solidali
con le ammiccanti allusioni all’esercizio dello scavo archeologico che il let­
tore può cogliere in molti punti del non lungo ma denso
Proemium
con cui
si apre il libro - , l’«antichissima sapienza» dei remoti abitatori italici, per la
precisione degli joni e degli etruschi, che si nasconde addensata e sedi­
mentata in alcune voci e locuzioni della lingua latina. «Avendo notato - scri­
ve Vico - che il latino abbonda di locuzioni abbastanza dotte, mentre la sto­
ria ci attesta che fino ai tempi di Pirro gli antichi romani non si occuparo­
no che di agricoltura e di guerra, congetturai che quei vocaboli provenis­
sero da un’altra dotta nazione, e che essi li avessero usati senza capirne il
senso»49. Ciò che qui, in sostanza, suscita l’attenzione del filosofo napole­
tano è la costatata incongruenza storica, per dirla con le sue stesse parole,
fra il
verum
agglutinatosi nei lemmi della lingua latina ordinaria, e la po­
vertà del
facere
consueto di quelle popolazioni, non corrispondente al den­
so spessore semantico dell’idioma che esse utilizzavano; la qual cosa esclu­
derebbe con incontrovertibile evidenza che quegli antichi parlanti incon­
sapevoli possano essere stati i creatori di quel sapere riposto. Se non è sta­
ta opera loro, allora l’elaborazione di quelle conoscenze si deve ad altri po­
poli, presso i quali il pensiero filosofico doveva essere così fiorente e diffu­
so - dunque comunità storiche in cui il
verum
, sostenuto da un
facere
ef­
fettivo adeguato, ne sgorgava spontaneamente - , da informare di sé il lin­
guaggio quotidiano. La piena rispondenza del
verum
al
facere
predomi­
nante sarebbe stata perciò in altri popoli alla base dell’uso generalizzato,
disinvolto e consapevole dei vari lemmi caricati di significato filosofico.
«Nel meditare sulle origini della lingua latina - è questo l’attacco del
Proe­
mium
- , ho notato che quelle di alcune parole sono tanto dotte da sembrare
derivate non dall’uso comune del popolo, ma da qualche dottrina riposta.
E nulla davvero impedisce che una certa lingua sia ricca di locuzioni filo­
sofiche, se presso quel popolo la filosofia è molto coltivata»50.1 popoli dai
una volta con Croce possiamo dire a questo proposito che «il significato proprio della nuova teo­
ria» va desunto «essenzialmente dal nuovo problema, che essa si trovava innanzi e mirava a ri­
solvere», sicché «di un rugginoso ferrovecchio» Vico fece «un’arma lucida e tagliente» (B. CRO­
CE,
Lefonti della gnoseologia vichiana
, cit., p. 249 e 250).
49
De ant.,
p. 56 («Cum Latinam linguam locutionibus satis doctis scatere notassem, et
priscos Romanos usque ad Pyrrhi tempora nulli rei, praterquam rusticae et bellicae, dedisse
operam, historia testetur; eas ab alia docta natione ipsos accepisse et imprudentes usos esse
coniectabam»,
ibid.,
p. 57).
50
Ivi
(«Dum linguae Latinae origines meditarer, multorum bene sane verborum tam doc­
tas animadverti, ut non a vulgari populi usu, sed interiori aliqua doctrina profecta esse vi­
deantur. Et sane nihil vetat, quin aliqua lingua philosophicis locutionibus referta sit, si in ea
gente multum philosophia celebretur»).
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