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ROSARIO DIANA
a Cartesio - anch’egli «filosofo monastico o solitario»61 - , come non è
difficile supporre che il filosofare vichiano, svoltosi in povertà, nei tu­
guri malsani del centro storico di Napoli, fra gli strepiti dei figli e le vi­
site talvolta inopportune degli amici62, mal si sarebbe attagliato ad un
uomo che, invece, sceglieva di vivere temporaneamente «chiuso in una
stanza riscaldata da una stufa», «tutto il giorno solo», non distratto da
«alcuna conversazione», non turbato da «preoccupazioni» o «passio­
ni», per aver « l’agio»63di
costruire
un sistema, certo, di straordinaria po­
tenza teoretica ed efficacia storico-filosofica. Si mostrano qui due di­
versi e contrapposti stili di pensiero: nel primo caso, abbiamo un ra­
gionare che nel suo stesso originarsi ed articolarsi è già sempre in di­
scussione con l ’Altro; nel secondo caso, una riflessione covata nel tem­
pio di un’anima monologante, seppur pronta poi a discutere e a pole­
mizzare con i contemporanei sui risultati conseguiti.
Ma, al di là di queste brevi e frettolose pennellate di colore, contri­
buisce meglio a differenziare il modo cartesiano di fare filosofia rispetto
a quello proprio di Vico l ’assunto enunciato dal pensatore francese se­
condo cui «gli edifici che un solo architetto ha iniziato e completato so­
no di solito più belli e ordinati di quanto lo siano quelli che hanno cer­
cato di riadattare in molti, servendosi di vecchi muri che erano stati co­
struiti per altri fini»64. Opportunamente trasposta nelle scienze, la fede
in tale presupposto fondamentale fa dire al filosofo francese che «anche
le scienze dei libri, [...] essendosi formate ed accresciute poco a poco
con le opinioni di molte persone diverse», non si avvicinano «così tanto
61 Cfr.
Vita,
p. 15 e Id.,
Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle na­
zioni
(1744), in
Opere,
cit., voi. I (d’ora in poi
Sn44),
§ 130, p. 496. Sul tema si veda anche M.
RICCIO,
Governo dei molti e riflessione collettiva. Vico e il rapporto tra filosofia e democrazia,
Napoli, 2002, pp. 61 sgg.
62 Cfr.
Vita,
pp. 43 e 51. Su questa descrizione delle circostanze esteriori tutt’altro che
concilianti in cui Vico di solito veniva svolgendo il proprio lavoro - un’autopresentazione gio­
cata più o meno esplicitamente nei termini di un desiderio di differenziazione edificante dal
proprio antagonista, Cartesio, la cui riflessione, sempre condotta in ambienti e condizioni
confortevoli, non fu costretta a misurarsi con le fastidiose difficoltà della vita quotidiana -,
cfr.
Vita,
p. 51.
63 R.
DESCARTES,
Discorso sul metodo,
edizione con testo francese a fronte a cura di L. Ur­
bani Ulivi, Milano, 1997, pp. 106/107 (la traduzione è stata lievemente modificata).
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Ivi.
Cartesio si adopera a dimostrare la validità di questa regola anche a proposito del­
l’ordinamento giuridico, osservando come quei «popoli che, essendo stati un tempo semisel­
vaggi ed essendosi civilizzati poco a poco», non abbiano «fatto le loro leggi se non man ma­
no che ve li costrinsero i disagi provocati dai crimini e dai litigi», non possano «giungere ad
essere così ben ordinati quanto quelli che, già dal momento in cui si sono riuniti insieme», ab­
biano seguito «la costituzione di qualche prudente legislatore»
(ibid.,
pp. 108/109 - la tradu­
zione è stata lievemente modificata).
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